I giornalisti entrino a Gaza
E’ tregua a Gaza. Dopo il cessate il fuoco deciso ieri da Israele, Hamas chiede il ritiro delle truppe israeliane dalla striscia di Gaza. Sino a ieri secondo alcune fonti altri razzi sarebbero stati sparati dai palestinesi e l’aviazione avrebbe reagito bombardando le basi di lancio. Oggi secondo altri testimoni gli israeliani starebbero ritirando parzialmente alcune truppe. E’ tutta una guerra di condizionali (un tempo si chiamava propaganda) quella che siamo costretti a raccontare. Sta accadendo di nuovo, com’ è accaduto altre volte, ai giornalisti è stato impedito di entrare a Gaza.
I media raccontano un conflitto, l’ennesimo atto di una battaglia, che si svolge al buio, fra comunicati stampa dei militari e del governo Israeliano e proclami di Hamas. Se è vero che trovare soluzioni è della politica e raccontare è del giornalismo, dobbiamo ammettere, come italiani, come europei e come cittadini che siamo doppiamente corresponsabili di quello che sta accadendo in medio Oriente: nessun tavolo politico capace di arrivare prima delle bombe; non un racconto che possa dire con certezza quello che accade. Solo una mediatica divisione fra parti, fra fronti e ideologie. Intanto la guerra non conosce divisioni, semina sangue e morte. E di questo siamo corresponsabili.
Questo è stato il filo conduttore dell’Assemblea per la Pace che si è svolta ieri ad Assisi promossa dalla Tavola della Pace e dagli enti locali umbri che ha coinvolto tante realtà (Pax Cristi, Libera, politica, istituzioni e società civile) e per un’intera mattinata ha provato a ragionare su quello che sta accadendo in Palestina a partire dai fatti e non dalle posizioni ideologiche le stesse – commenta nel suo lungo e lucido intervento – Massimo D’Alema hanno condizionato troppe volte il lavoro diplomatico, facendo abbandonare il tavolo delle trattative e lasciando che a parlare restassero solo le armi”. “La soluzione – sottolinea D’Alema – passa solo attraverso un riconoscimento di reciproca legittimità politica dei soggetti coinvolti” e il riferimento alle scelte del governo di Abu Mazen su Hamas è esplicito. “L’uso della forza non puo’ sostituire la politica, credo che ci sia ancora uno spazio politico per intervenire nel processo di pace”. ”Rimasi isolato – conclude – quando nel 2006 dissi ‘occorre fare qualcosa per Gaza’ forse sarebbe stato utile allora avere ragione per prevenire quanto sta accadendo oggi”.
Ancora una volta il Movimento per la pace, eterogeneo, colorato, appassionato si ritrova ad Assisi per ragionare e raccontare questo conflitto che come commentano in tanti “tutti sembrano più attenti a gestire che non a portare a termine, con una pace definitiva e duratura”. Con una scelta che in molti, da Tonio dell’Olio di Pax Christi, Flavio Lotti della Tavola della Pace, a Fausto Bertinotti e Massimo D’Alema, ribadiscono più volte: “due Stati per due popoli”. Nei confini giusti, con una pace giusta. Proprio li dove si sono rotte più volte trattative che da Oslo in poi non hanno visto seri sforzi per mettere fine a questo “genocidio” reciproco che porta morte e sterminio in entrambi i popoli ma che ci impongono comunque stiano le cose di stare dalla parte delle vittime e questa volta le vittime, in questo attacco israeliano a Gaza, sono lì. Da quella parte.
E’ tregua? forse – commentano la Cgil e Pax Christi – che vuol dire? Per i giornali, telegiornali e tv (non tutte s’intende) questa guerra si racconta con i dispacci di agenzie, con le posizioni dell’ esercito e la conta dei morti fornita da Hamas, se è tregua questo vorrà dire spostare nelle pagine interne o nei servizi a metà di un Tg questi stessi argomenti sostenuti dalle medesime fonti. La paura è che gradualmente accada quello che è sempre successo e che – come ha commentato (ignorato dai Media) Patriarca Michel Sabbah “l’anormalità diventi normale” sino al prossimo attacco. Noi siamo stanchi, stanchi e rassegnati che il conflitto israelo – palestinese da più di 25 anni sia considerato normale. Bambini, donne uomini muoiono ogni giorno”. Oggi Hamas fa sapere che sono stati ritrovati fra le rovine di alcuni villaggi bombardati. “dobbiamo ammettere che la colpa di tutto questo è nostra – dichiara Don Nandino (Pax Christi) – perché abbiamo permesso che si restasse nell’ambiguità”.
“Smettiamola – afferma inoltre l’europarlamentare Claudio Fava di Sd – di pensare che esistano guerre chirurgiche (bombe intelligenti). Non possiamo prescindere dal fatto che siamo alla terza generazione di Palestinesi che sono nati nei campi profughi. segregati. Questo è il punto di vista dal quale dobbiamo partire: il paradigma di questi 25 anni è stato l’odio. Anche se non avremo modo di sapere, di capire perché giornalisti non sono a Gaza, come è accaduto per l’Iraq – ricorda Giuseppe Giulietti – la stampa non è messa in grado di raccontare. Dobbiamo dall’Europa chiedere ad Israele che apra Gaza ai giornalisti perché è loro dovere e nostro diritto.
Ad Assisi in collegamento telefonico è intervenuto anche l’unica voce, censurata dalla Rai (pare per motivi di sicurezza) e presente a Gaza come volontario. Si chiama Vittorio Arrigoni ed è l’ unico che sta facendo quello che è del giornalismo: raccontare. La sua voce si regge in bilico fra la vita alla morte, in un secondo, che può arrivare in qualsiasi momento. Anche mentre parliamo. Arrigoni è i nostri occhi su quello che accade a Gaza e quello che vediamo nei suoi racconti si può sintetizzare cosi: le tre ore di “corridoio umanitario”sono come una goccia nel deserto per i presenti a Gaza, i bombardamenti stanno facendo una strage di civili. La tregua? Sinché qui si muore non c’è alcuna tregua per noi”.
Tutto è estremamente fragile e in difetto quando si parla di questo conflitto e della sua mancata risoluzione. Manca tutto, manca soprattutto l’Europa che non è mai riuscita ad occuparsi di quello che accade nel suo mare ed ha lasciato all’America l’esclusiva del dovere e del diritto – commenta Fausto Bertinotti.
Tutto sembra molto vicino e poi anche molto lontano. Una pagina di questo dramma, la racconta chiudendo l’incontro di Assisi un ragazzo palestinese al momento in Italia. “Ho sentito i miei cari ieri – dichiara Youssef – mi hanno detto che non ricordano un attacco cosi violento dal 1948, questa volta dice “sembra che l’intento non sia di cacciarli da un territorio, ma di sterminarci”! Mia madre mi ha chiesto cosa sarei venuto a fare qui oggi ed io ho risposto: “manifestare”. Lei mi ha raccontato di aver visto la mia nipotina di 3 anni, mentre in una stanza parlava da sola. Sapete cosa diceva? Non parlare con me, ammazzami (riferito ad un immaginario soldato). Quello che abbiamo la responsabilità di fare oggi è di dire a quella bambina che nessun soldato gli sparerà. Questo soltanto possiamo fare per i palestinesi, oltre le parole di solidarietà, dobbiamo poter dire a quei bambini che nessuno sparerà loro”.
Con bandiere, gambe e cuore, il corteo che ieri ha attraversato Assisi sino alla Basilica di San Francesco ha chiesto il cessate il fuoco. E che non si chiami solo Tregua ma Pace.
Trackback dal tuo sito.