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Rassegna stampa

Di redazione il . Rassegne

Ritorna  l’angolo consueto con la rassegna stampa dei primi dieci giorni di questo 2009. Anno che si apre con non poche novità sul versante repressivo della lotta alla criminalità organizzata, su quello costruttivo del lavoro di antimafia e di denuncia. Mentre il 2008 aveva chiuso i battenti con alcune importanti notizie arrivate dalla Sicilia (arrestati più di 90 uomini di Cosa nostra che volevano rifondare la “Commissione”) il 2009 apre con due fatti importanti che riguardano Calabria e Campania.

Qui dove la Camorra spara, dialoga con la politica e chiede il pizzo agli imprenditori, lo Stato mette a segno un colpo strategico per le sorti del clan, oggi più noto del casertano, quello dei Casalesi. E’ del 14 gennaio la notizia dell’arresto del boss latitante numero uno dei Casalesi, Giuseppe Setola, finto cieco ma autentico killer in latitanza, sfuggito alla cattura solo 36 ore prima. Gli uomini dei reparti speciali già al primo tentativo di cattura (Corriere della Sera 13 gennaio 2009Gazzetta del Sud 14 gennaio 2009Corriere della Sera 13 gennaio 2009 l’Unità 13 gennaio 2009Avvenire 13 gennaio 2009)  avevano rintracciato il covo in cui si nascondeva l’uomo, 38 anni di Santa Maria Capua Vetere, ritenuto il capo del gruppo di fuoco che il 18 settembre scorso aveva fatto fuoco contro gli africani a Castelvolturno (Corriere della Sera, 15 gennaio 2009  –  Avvenire 15 gennaio 2009, Gazzetta del Sud 15 gennaio 2009)

Latitante dallo scorso aprile quando fuggi dalla sua abitazione dove si trovava, ufficialmente per curare una malattia agli occhi. Nel covo gli inquirenti hanno trovato, fra gli altri oggetti, due libri rispettivamente della cronista del Mattino Rosaria Capacchione e di Papa Wojtyla. Gli inquirenti confermano che (leggi intervista su Libera Informazione) il ruolo di Setola non sarebbe centrale nel clan, i latitanti più importanti dunque sarebbero ancora in giro e continuerebbero, non solo a progettare omicidi ed estorsioni ma anche a tessere rapporti con il mondo dell’economia, dell’impresa e delle istituzioni.

Dietro le sbarre il killer con la benda dunque restano ancora da individuare le menti che gestiscono l’impoverimento e le distorsioni democratiche di un’intera regione, dell’economia nazionale e internazionale.  E poi intrecci di ‘ndrangheta fra Calabria e Lazio attraversano ormai in maniera stabile la capitale. Lo scorso 11 gennaio le forze dell’ordine hanno arrestato a Roma, nel quartiere Monte Sacro, Candeloro Parrello, 53 anni latitante da 10 al vertice dell’omonima cosca operante a Palmi, in Calabria e interlocutore delle ‘ndrine con i cartelli colombiani dei produttori di droga (Gazzetta del Sud, 12 gennaio 2009, Quotidiano di Calabria 12 gennaio 2009). Associazione mafiosa e traffico internazionale di droga le due principali accuse contestate a Candeloro Parrello dagli inquirenti che lo ritengono una pedina strategica della cosca capace di interfacciarsi con abilità con i cartelli colombiani e allo stesso tempo tenere le redini del vertice calabrese.

Non solo mafia ma anche antimafia in questa prima settimana di notizie sulla carta stampata nazionale e regionale. Si parla di lotta al racket in queste settimane in Calabria: dai manifesti anonimi contro il racket che appaiono per le strade di Reggio Calabria, sino all’analisi dei limiti legislativi che secondo molti ancora rendono difficile la posizione dei Testimoni di Giustizia e degli imprenditori che vogliono denunciare il pizzo, nonostante Confindustria Calabria affermi “sosterremo chi denuncia” (Quotidiano di Calabria 11 gennaio 2009; 6 gennaio 2009) ; e confcommercio di Reggio Calabria annuncia che “si costituirà parte civile in tutti i procedimenti che riguardano le imprese della provincia vittime di estorsioni, usura, danneggiamenti, istigazione all’usura” (Quotidiano di Calabria 16 gennaio 2009) e infine un imprenditore di Lamezia punti in aula il dito contro il suoi estorsori durante il processo confermando le accuse in tribunale, così come qualche mese fa è accaduto in Sicilia per i commercianti parte lesa nel “processo Addiopizzo” ( Quotidiano di Calabria 10 gennaio 2009). 

Sicilia anno 2009 e alcuni processi che non racconta più nessuno ma che da soli raccontano molto. Si apre proprio con una inchiesta de L’Unità (a firma di Nicola Biondo, del 9 gennaio 2008) sul processo in corso a Palermo per favoreggiamento aggravato  nei confronti  dell’ex capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano. Imputato è Mario Mori oggi è responsabile della sicurezza per la giunta Alemanno a Roma (L’Unità 12 gennaio 2008) che gli rinnova fiducia e attende l’esito del processo. Mori è accusato della mancata cattura di Provenzano già dal 1997. A raccontare di questo “sospetto” mancato arresto principale accusatore è il colonnello Michele Riccio, l’uomo che riuscì a infiltrare nel cuore di Cosa Nostra il mafioso Luigi Ilardo, poi morto ucciso da due killer a Catania il 10 maggio 1996. Si parla di politica in questo processo, ad altissimi livelli (quelli vicini al premier), si parla di istituzioni, di boss e del post – stragi e negli stessi giorni il Tribunale di Sorveglianza di Roma dà notizia della revoca del carcere duro per Domenico Ganci, uomo condannato all’ergastolo in regime di 41 bis per la strage del 1993 di via dei Gergofili a Firenze. Un cugino del boss fra l’altro secondo un’ultima informativa degli inquirenti nell’ultima “operazione Perseo” risultò fra gli indagati. (L’Unità 14 gennaio 2009)

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha firmato ieri un provvedimento che ripristina immediatamente il carcere duro e accade che da un lato un Tribunale ritiene che non ci siano più gli elementi per il 41 bis, dall’altro il Ministro della Giustizia decide il contrario, creando qualche confusione sulle procedure e gli elementi che accompagnano di volta in volta decisioni come queste che negli ultimi mesi si stanno verificando molto spesso con uomini di Cosa nostra condannati per reati di strage o omicidi (Gazzetta del Sud 15 gennaio 2009)

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