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Setola, identikit di un latitante

Di Daniela De Crescenzo il . Campania, Dai territori

Per mesi i magistrati della Dda gli
hanno dato incessantemente la caccia. Ma lui, Giuseppe Setola, è
sempre riuscito a sfuggire all’arresto. L’ultima volta il 12 gennaio
fuggendo attraverso le fogne.

E con Setola ancora in fuga nessuno può
dormire sonni tranquilli. Il perché lo spiegano i suoi complici che
ora, una volta arrestati, stanno parlando con i magistrati. Setola è
un sanguinario, una belva. A lui si devono i quindici delitti che in
cinque mesi hanno insanguinato quel nastro d’asfalto che parte da
Caserta e arriva a Castel Voltuno. Ma Setola, lo ripetono gli
inquirenti, non agisce autonomamente. La falange stragista guidata da
“Peppe ‘o cecato” è a capo di quel gruppo di casalesi fedeli
alla famiglia Bidognetti che si è battuta per anni contro Salvatore
Cantiello. Le stragi, insomma, sono state altrettante tappe, è
l’ipotesi degli inquirenti, della guerra di successione per il trono
dei Bidognetti.

Chi sia Setola, e quanto sia
pericoloso, lo stanno raccontando i pentiti in questi mesi di
ricerche affannose. Oreste Spagnuolo è stato arrestato il 30
settembre a Quarto con Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, grazie
alle prostitute che ne allietavano la latitanza. Da allora è passato
dalla parte dello Stato e ha svelato fatti e misfatti del clan:
«All’epoca della mia affiliazione, nel Duemila, il referente del
capo recluso era Alessandro Cirillo. So che in un periodo
immediatamente antecedente alla mia affiliazione il capo era Giuseppe
Setola ma questi fu arrestato proprio pochi giorni prima che io
entrassi a far parte stabile del gruppo».

Con il ritorno del cecato le cose per i
bidognettiani diventano più difficili : «Il clan, prima
dell’evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante, e tutto
cambiò con l’avvento di Peppe – racconta ancora Spagnuolo- Posso
dire che Setola evase quando ritenne che la gestione del clan non lo
convinceva, in particolare accusò Cirillo di trattenersi parte delle
somme destinate agli affiliati. Dopo l’evasione convocò Giovanni
Letizia e Alessandro Cirillo, presente anche Massimo Alfiero. Quel
giorno Setola prese il comando e dichiarò subito la sua intenzione
di fare a modo suo, capimmo subito che cosa intendeva… Creò un
gruppo ristretto di persone e assunse un atteggiamento estremamente
autoritario…La strategia di Setola fu evidente e questi decise di
incutere il terrore sul territorio e di uccidere i familiari dei
pentiti. Non dava alcuna spiegazione delle sue determinazioni perché
nessuno poteva avere alcun ruolo nelle sue decisioni, assunse un
ruolo di massima autorità. Non vi era alcuna possibilità di
discutere le sue scelte e tutte le persone facenti parte del gruppo
aderirono necessariamente alla sua volontà».

Il boss evase ad aprile. Poi iniziò la
strage: «Il clan si strinse attorno al Setola e furono da questi
scelti Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e io – dice sempre
Spagnuolo – la scelta su di me cadde perché anche io ero latitante
come Letizia e Cirillo e trascorrevo la latitanza insieme al Letizia.
Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto, ma ovviamente avevamo
una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone. La
cassa era gestita direttamente dal Setola e ammontava mediamente a 90
mila euro al mese, subendo le variazioni legate alle contingenze.
Setola decise dunque di attuare questa strategia di terrore sul
terrirorio e così si agì secondo i suoi ordini. Non so dire quanto
questa strategia fosse necessaria, ma certatemte il capo disse che
era stata autorizzata dal capo detenuto, Bidognetti Francesco». E a
riprova dell’approvazione del boss in galera Spagnuolo racconta:
«Ricordo in particolare che in un’occasione, pochi mesi fa, quando
erano già stati consumati molti omicidi, il figlio di Cicciotto,
Gianluca Bidognetti, ci disse, tornando da un colloquio, che non
aveva mai visto il padre così contento come ora. Peppe Setola si
occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla
famiglia Bidognetti, ossia al padre di Cicciotto e ai figli Aniello e
Raffalele, tutti detenuti…a Cicciotto venivano recapitati 5 mila
euro mensili, mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3 mila
e 500 euro ciascuno, corrisposti attraverso le loro rispettive
mogli».

Un flusso di denato alimentato dalla
strategia del terrore che prevedeva di spaventare a morte gli
imprenditori, i familiari dei pentiti e scoraggiare futuri
pentimenti. Il pentito ricorda i retroscena dei delitti con dovizia
di particolari: «Setola voleva poi controllare il territorio e per
questo decise di punire i cittadini albanesi ritenuti colpevoli di
consumare i furti avvenuti nella zona di Castel Volturno e sulle zone
da noi controllate: le vicende omicidiarie ai danni dei cittadini di
colore su legavano, invece, alla volontà di imporre loro una
tangente sui traffici di droga da costoro gestiti. Setola agiva a
volto scoperto, non si è mai preoccupato di un eventuale
riconoscimento, anche quando noi gliene chiedevamo le ragioni: ci
rispondeva che non gli fotteva niente e che noi non facevamo gli
orefici. Disse anche che aveva già un ergastolo e non aveva niente
da perdere. Setola ha parlato del fatto che cercava di procurarsi
dell’esplosivo con un detonatore con telecomando, non mi ha spiegato
che cosa voleva farci, ma diceva che era un modo facile per
uccidere».

A metà agosto parte il primo assalto
ai nigeriani, solo per caso non ci saranno morti. Spagnuolo racconta
che un certo Tony (la sua identità è coperta da omissis) aveva
convocato un uomo del gruppo indicandogli «tale Teddy che lo
contrastava nei suoi traffici». E poi il pentito racconta: «Tony ci
disse che Teddy contrastava la sua politica diretta a imporre ai
trafficanti di pagarci la tangente e per questo motivo ci disse che
era necessario agire per ucciderlo: era inteso che se fosse stato
trovato con altre persone dovevano essere uccise tutte quante.
..Setola appena si avvicinò all’inferriata del cancello iniziò a
sparare con il kalasnikov nella direzione di quattro persone che
erano sedute in un balcone poco rialzato, recintato da una ringhiera
di metallo, si trattava sia di uomini che di donne, tutte di colore.
Setola sparò da una distanza di circa 9 o 10 metri e le persone si
rifugiarono immediatamente all’interno della casa; il kalashnikov si
inceppò e subito dopo Letizia entrò dal cancello semi aperto
dirigendosi verso l’interno dell’abitazione, sparando alcuni colpi di
pistola, prima che anche questa si inceppasse. Granato ci indicò la
casa senza dirci se ci fosse o meno Teddy, la persona che doveva
essere uccisa insieme agli altri. In pratica non è stato ucciso
nessuno per la loro buona sorte e perché le armi si sono inceppate.
Mi ero accorto che si trattava di una famiglia, ma non vidi i bambini
che ho appreso dopo esserci in casa. Noi pensavamo di aver ucciso
qualcuno, soltanto leggendo il giornale capimmo di aver fallito».
Non fallirono, però, il mese dopo quando lasciarono a terra sei
immigrati. Prima di fare fuoco a raffica contro gli extracomunitari
Setola e i suoi avevano ucciso un commerciante, AntonioCeliento. Ecco
perché: «Peppe Setola aveva deciso di uccidere Celiento perché
Giovanni Letizia lo aveva informato che questi era uno spione e aveva
fatto numerose confidenze a un carabiniere di nome Antonio Diodato in
servizio presso la caserma di Castel Volturno. Nicola Tavoletta e
Vincenzo Di Fraia attribuirono proprio a Celiento la colpa del loro
arresto avvenuto in Baia Verde nel residence di cui Celiento stesso
era custode e bastò questo per indurre Setola a ucciderlo. L’arresto
dei latitanti fu effettuato dala polizia. Celiento, invece, era
confidente del carabiniere e tale divergenza mi ha fatto
effettivamente pensare che Setola avesse utilizzato tale motivazione
come mero espediente per uccidere Celiento».

Il racconto di Spagnuolo è stato
confermato e arricchito da Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia,
successivamente arrestati, ma nessuno è stato in grado di dare la
dritta giusta per far arrestare Setola.

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