Monterrey, assalto alla televisione
Storie di informazione negata dal Messico
Di positivo, in questa vicenda, c’è
solamente il fatto che nessuna persona ha perso la vita. Diversamente
da altre volte l’ennesimo attacco al giornalismo in Messico, si è
esplicato tramite una minaccia grave, assurda, prepotente ma senza
lasciare vittime sul campo. E, tuttavia, rimarcando ancora una volta
la grave situazione che i media attraversano. La causa sono ancora
loro, i narcotrafficanti. Incappacciuti sono giunti, a bordo di una
Pontiac rossa, presso la sede del network televisivo messicano
Televisa. Colpi a raffica sparando contro l’ingresso una granata
contro gli edifici di quello che è considerato il più importante
canale televisivo privato messicano.
Il motivo è quella di minacciare
direttamente i giornalist , ripetere ciò che mesi fa hanno già fatto via
telefono, come ha sottolineato il direttore Francisco Cobos. Lo
scopo, quello di limitare la copertura mediatica delle storie
riguardanti i narcos. Motivazione ben spiegata in una nota lasciata
dal commando, che invitava a non parlare
solamente dei narcotrafficanti ma anche a segnalare gli interessi di
ufficiali federali nello smercio di droga.
Diversamente da altre volte nessuna
persona è stata uccisa, andando ad incrementare una tragica
situazione che ha visto morire, in Messico, 28 giornalisti dal 2000
ad oggi, per mano dei narcotrafficanti. Si è sempre fatta portavoce
di questa grave situazione l’organizzazione Articolo 19 che difende,
nello stato federale messicano, la libertà di stampa. Il direttore,
Dario Ramirez, non ha dubbi, e pensa che la colpa sia anche di un
intervento troppo rilassato del governo: «Commettere questo tipo di
attacchi è facile e poco costoso, è successo molte volte, in altri
casi sono morti giornalisti o sono spariti dalla circolazione. Il
governo con i suoi silenzi ha dimostrato una completa mancanza di
responsabilità».
Si augura che portino a risultati in
fretta le investigazioni del caso anche Reporters Sans Frontièrsche in una nota sottolinea che
«fortunatamente non ci sono vittime, ma, egualmente, l’attacco
dimostra come il crimine organizzato stia inquadrando nel mirino sia
i media nazionali che locali».
Per l’associazione «risolvere la
questione dell’attacco sarà un banco di prova per un governo che
vuole rendere un crimine federale l’uso della violenza contro la
stampa».
A breve si dovrebbe infatti discutare
al Congresso federale una proposta di legge che prevede la
valutazione di “crimine federale” per ogni azione tesa a
diminuire e ridurre il diritto individuale alla libertà di
espressione. A chiedere fortemente l’azione legislativa molte
associazioni stampa tra cui il CPJ, il Comitato per la protezione dei
Giornalisti, che tramite il portavoce per le Americhe Carlos Lauria
dichiara che per i messicani «urge un miglior quadro legale per
proteggere il diritto basilare della libertà di stampa».
Il riferimento alle responsabilità di ufficiali federali punta nuovamente un faro sul governo messicano.
Secondo Reporters Sans Frontièrs, «il messaggio deve essere preso
con prudenza ma dovrebbe incoraggiare le autorità a monitorare cosa
succede al loro interno».
Negli ultimi
anni le morti violenti si sono susseguite in maniera incessante. Nel
1997 un primo avviso al giornale di Tijuana, Zeta. Vittima il
fondatore Jesús Blancornelas, vittima di un attentato da cui riuscì
a salvarsi e nel quale rimase ucciso la sua guardia del corpo. Ancora
il periodico di Baja California a subire le “attenzioni” dei
narcos. Nel 2004 Francisco Ortiz Franco, davanti ai figli di otto e
dieci anni, fu raggiunto da cinque colpi mortali di arma da fuoco.
Morti dure, violente come quella di Alejandro Fonseca, giornalista
radiofonico altresì impegnato nella campagna «No tenemos miedo»,
«Non abbiamo paura» diretta contro la scia di violenza de Los
Zetas, i sicari del cartello del Golfo. E’ stato ucciso con un
colpo all’addome il 23 settembre di sera da quattro incappucciati. E
quando il delitto non è eclatante si cerca di far sparire i
giornalisti scomodi.
Per ricordare le vittime e proteggere
chi ora cerca di fare il proprio lavoro l’associazione articolo 19 ha
lanciato una campagna, affinchè si sostenga la categoria dei
giornalisti e si focalizzi l’attenzione governativa su un programma
di grande rilevanza. Sperando che l’azione legislativa, sull’onda di
questi ultimi avvenimenti, non dia dimostrazione di una eccessiva
timidezza, tutt’altra che adeguata, in questi frangenti.
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