A3. `Ndrangheta, cantieri eterni ed imprese edili
La
Salerno – Reggio Calabria è il penultimo tratto del
“corridoio Berlino-Palermo”, quello che per i fautori del Ponte
era la via maestra dello sviluppo ostacolato dalla mancanza del collegamento
stabile sullo Stretto. Oggi l’A3
è ancora un cantiere, dopo anni di lavori, tre diverse inchieste della
magistratura, un numero infinito di attentati ed alcuni incidenti mortali.
Le imprese sono in fuga, le cosche impongono la loro presenza con azioni
da Far West, il governo fautore del
“pacchetto sicurezza” non fa nulla, così
come un’opinione pubblica distratta da troppe
“emergenze”
“Controllano
le loro zone come i cani
quando fanno pipì, e da lì non si passa”
Un giudice di Reggio Calabria
Improvvisamente
appaiono due uomini incappucciati, un fucile a canne mozze per ciascuno.
I quattro operai della ditta Cossi di Sondrio li guardano esterrefatti,
si stendono sull’asfalto sperando di non morire lì, i fucili puntati
sulle loro teste, lo svincolo di Bagnara Calabra a due passi e tanta
voglia di essere da qualche altra parte.
Qualche
minaccia, poi in fretta su un camion dell’impresa, poche centinaia
di metri percorsi sgommando per un furto appena simulato. I bravi cronisti
l’hanno chiamata l’ “ennesima intimidazione”, e tutto è finito
con poche righe d’Ansa riprese distrattamente dai giornali locali
.
È
solo l’ultimo episodio di quello che sta diventando il più grande
romanzo noir della storia d’Italia, l’ammodernamento dell’autostrada
che dovrebbe collegare Salerno a Reggio Calabria, ovvero metà dello
stivale.
Le
possibilità di sviluppo turistico, i semplici collegamenti tra le città
del Sud, le opportunità di crescita per le imprese non possono prescindere
da questa arteria, almeno in teoria. Invece dal 1997, anno di avvio
dei lavori, i birilli dei cantieri costringono pullman, camion ed automobili
a terrificanti slalom e code interminabili.
Sono
numerosi gli incidenti già avvenuti, con altrettanti morti, tra cui
l’automobilista deceduto a gennaio 2008 nei pressi del demenziale
svincolo di Scilla, tutto cambi di corsia e restringimenti improvvisi,
ucciso da un mezzo pesante che non indovinava il senso giusto, oppure
la coppia che ha perso la vita nei pressi dello svincolo di Falerna
nell’ottobre del 2008.
Ogni
estate qualche politico si sveglia, “è una vergogna”, qualcuno
propone navi da Milazzo a Gioia Tauro, un altro lancia accorate denunce,
si segnalano percorsi alternativi, poi tutto si addormenta nuovamente
finché non ci pensano i fucili a canne mozze della `ndrangheta a suonare
la sveglia.
Il corridoio
Non
dimentichiamo che stiamo parlando dell’ultimo tratto del famigerato
corridoio “Berlino – Palermo”, la grande arteria europea che i
fautori del Ponte sullo Stretto magnificavano quale elemento essenziale
per lo sviluppo del Meridione, per la fine dell’isolamento siciliano,
per la crescita di un’economia fondata sul trasporto gommato.
Se
questa fosse stata una sincera teorizzazione, e non una di quelle balle
da marketing della comunicazione che si apprendono nei Master, oggi
tutti sarebbero disperati per la situazione dell’A3, perché il corridoio
diventa un imbuto già in Campania, e non al momento di salire sul traghetto
nel piccolo porto di Villa San Giovanni, estrema punta della penisola.
Molti
dei protagonisti della vicenda Ponte sono anche gli attori di primo
piano nei lavori della Salerno – Reggio Calabria, e qualcuno prima o
poi dovrà chiedergliene conto.
La
vicenda A3 chiama direttamente in causa la politica nazionale e l’imprenditoria
del Paese. Perché va chiarito in via definitiva se la sovranità territoriale
spetta alla ‘ndrangheta, ovvero circa 100 famiglie formate da rozzi
semianalfabeti, i cui nomi sono notissimi da decenni, oppure allo Stato
italiano.
E
se le imprese che lavorano nel settore dei lavori pubblici vedono le
cosche come partner ingombranti ed inaffidabili, ma necessari.
Se,
infine, i tempi di realizzazione di una infrastruttura ordinaria come
una striscia d’asfalto debbano essere contati scandendo i decenni.
Far West Calabria
Costruire
una strada in Calabria non è un mestiere per tutti. Antonio Longo,
costruttore di Soverato, amministratore delegato della Tecnovese, era
a bordo della sua Audi A3 sulla trafficata strada per l’aeroporto
di Lamezia. Alle 10 del mattino, una automobile lo affianca, un finestrino
si abbassa, due colpi di fucile in pieno volto. Una morte spaventosa.
Al
delitto non avrebbe assistito nessuno. Sono stati tre finanzieri liberi
dal servizio, pensando ad un incidente, ad avvertire la polizia stradale
della presenza di un`auto ferma contro il guard rail.
Longo
era impegnato nei lavori per la realizzazione della Trasversale delle
Serre, una strada che dovrà collegare la costa Jonica con quella Tirrenica
attraversando la zona delle Serre Vibonesi.
La
Trasversale sarà ricordata come una strada maledetta: a settembre veniva
incendiato un furgoncino della “Impresa Spa”, impegnata nella realizzazione
dell’opera nei pressi di Simbario, a due passi da Serra San Bruno,
rischiando di provocare una strage. Il veicolo si trovava accanto ad
alcune bombole di gas che, se raggiunte dalle fiamme, avrebbero provocato
una strage delle decine di operai che stavano dormendo nei prefabbricati
del cantiere. Le proteste dei sindacati e l’emozione del giorno dopo
non produrrano nulla. Già due mesi prima un altro mezzo era stato incendiato.
Anche
la statale 106 (chiamata “la strada della morte” per l’altissimo
numero di incidenti stradali), ovvero la via che collega Reggio con
Taranto è considerata dalle ‘ndrine come un affare proprio. Questa
è la striscia di terra che fronteggia lo Jonio, la zona delle temibili
famiglie di Africo, della Locride, di San Luca.
Tutto
parte dalle indagini sulla variante di Palizzi, piccolo paese sulla
costa nei pressi di Reggio. La commissione d’accesso della Prefettura
indaga sui subappalti concessi da Condotte d’Acqua Spa, una delle
prime ditte di costruzioni del Paese, a due imprese presumibilmente
legate alle ‘ndrine. Siamo alla fine del 2007, parte l’indagine
“Bellu lavuru” (il nome è frutto di una intercettazione ambientale
effettuata presso il carcere di Parma tra il “tiradritto”,
ovvero il boss Giuseppe Morabito, ed i parenti, che lo informano appunto
dell’aggiudicazione del riammodernamento della SS. 106). Sotto inchiesta
è la fornitura di calcestruzzi, che si rivela di pessima qualità dopo
le verifiche disposte dalla Procura ed effettuate da tecnici specializzati
dell`ANAS.
Ovviamente
l’uso di materiali scadenti nella costruzione di una importante arteria
stradale mette a repentaglio la sicurezza degli abitanti del luogo,
oltre che di tutti coloro che occasionalmente si trovano a percorrerla.
I
cittadini, tuttavia, non sembrano particolarmente sensibili rispetto
ai danni sociali che questa criminalità apporta al loro territorio.
Per
le maestranze che vengono dal Settentrione sono anni di esperienze forti.
“Qui c’è il coprifuoco”, dice al telefono Giuseppe Talarico,
geometra della Baldassini & Tognozzi impegnato nei lavori della
A3. Non può rendersene conto, ma si trova in mezzo ad un conflitto
di competenze territoriali tra clan. E racconta ad un amico quel che
gli è capitato mentre delimitava un cantiere: “Mi hanno fermato in
due con il fucile e mi hanno puntato la pistola in testa. Che fai? Non
volevano che mettessi i picchetti”.
Ovviamente
tralasceremo il lunghissimo elenco, un vero bollettino di guerra, degli
attentati agli altri cantieri della regione. E’ pratica frequentissima
dare fuoco ad escavatori ed a tutti gli altri mezzi, in particolare
nelle ore notturne e specialmente nel reggino e nel vibonese.
C’è
anche chi si è spinto oltre, come la ‘ndrina Soriano di Filandari,
che è arrivata ad imporre una “tassa” di 20 euro ad ogni mezzo
pesante che avesse necessità di attraversare la strada di montagna
che attraversa il piccolo paese del vibonese. Operazione “Rotarico”,
l’hanno chiamata i giudici della DDA: era il balzello di passaggio
imposto nella antica città di Rota ai tempi dell’Impero romano.
(da terrelibere.org)
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