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Biutiful Cauntri, premio all’impegno civile

Di Stefano Fantino il . Interviste e persone

Impegno civile per aver raccontato, tramite il documentario una realtà che abbraccia l’intera penisola. Questo, sostanzialmente, il merito di “Biutiful Cauntri”, i cui autori hanno ricevuto ieri l’onoreficenza in ricordo di Pippo Fava, a Palazzolo Acreide, paese natale del grande giornalista siciliano. A dimostrazione del fatto che strumenti come il documentario sono importanti mezzi per diffondere informazione, in un Paese anomalo che preferisce dimenticare in fretta e approfondire poco.

Peppe, quello che avete ricevuto è un riconoscimento di alto valore, che tocca tematiche importanti e premia un modo di informare, quello del documentario, sicuramente ficcante e pervasivo…

Il premio che abbiamo ricevuto è molto prestigioso, soprattutto perché premia l’impegno civile. Si tratta di un riconoscimento al lavoro di chi ha partecipato a questo documentario collettivo. Aldilà del premio in sé, che fa piacere ricevere, si tratta di un fatto importante. Mi spiego. Con il premio in memoria di Marcello Torre (ex sindaco di Pagani, ucciso dalla Camorra ndi) è l’unico riconoscimento di valore civile che abbiamo ricevuto. Un modo per rifarsi del silenzio della politica  dopo l’uscita del nostro documentario. Io sono molto rammaricato di ciò, del fatto che ci sia stato, di fronte a quanto mostrato nel documentario questo eloquente silenzio. Poi ricevere per me un premio in memoria di Giuseppe Fava è un onore. Io da napoletano, e l’ho ricordato anche ieri, ho sempre avuto come giornalisti di riferimento Siani, partenopeo come me, ucciso dalla Camorra e Fava. Sono i due giornalisti a cui ho sempre guardato.

Sicuramente due giornalisti importanti, capaci di dare un senso al concetto di giornalista

Ieri Elena Fava, la figlia di Pippo, ha tirato fuori una lettere dove si chiedeva a Fava, quale fosse la posizione politica del suo giornale . All’epoca Fava dirigeva il Giornale del Sud. E l’11 ottobre 1981 pubblicò “Lo spirito di un giornale”, un articolo in cui chiariva le linee guida che faceva seguire alla sua redazione: basarsi sulla verità per «realizzare giustizia e difendere la libertà». Il famoso concetto etico del giornalismo che aveva Pippo Fava. Penso che ciò sia fortemente emblematico, sia un testamento che deve essere consegnato ai giovani che si avvicinano a questo mestiere. Avere come obiettivo la verità che non significa essere di parte. Invece la storia del nostro paese è un’altra.

Un paese dove ci si meraviglia ora di cose che esattamente quarant’anni fa accadevano già.

Come pensi che sia riuscito Biutiful Cauntri a suscitare interesse nella gente comune?

Penso che innanzitutto sia stato fondamentale aver raccontato certe cose con il rapporto Ecomafia, di Legambiente. Siamo stati molto osteggiati, accusati anche di vedere ovunque l’illecito, la mafia. Ora con questo documentario riusciamo ad affiancare un importante mezzo a quello giornalistico. Si tratta di utilizzare un linguaggio che ci metta in contatto con i giovani, capace di arrivare in maniera rapida allo spettatore. Un documentario coinvolge più facilmente. Dopo la proiezione inaugurale a  Torino abbiamo trovato molto spazio sui giornali che davano risalto non solo al lato filmico ma anche al nostro tema. Si è arrivati a target molto lontani, in maniera più snella e rapida rispetto ai tre minuti di servizio per un tg.  

Questa opera di sensibilizzazione ha toccato tutto il Paese?
 

Quando portiamo in giro il documentario ci capita spesso, al Nord, alla fine della proiezione di sentire commenti indignati delle persone del posto. Che si vergognano. Perchè finalmente si rendono conto che si tratta di una responsabilità collettiva del paese, anche loro. Non solo del Sud. Quando sentono le intercettazioni dove ci sono accordi tra persone del Nord e del Sud per smaltire rifiuti tossici, allora non può che venire fuori l’indignazione e l’acquisita consapevolezza di essere responsabili.

Pensi che questa formula del documentario la utilizzerei ancora, hai già qualcosa in cantiere?

Me lo chiedono in tanti se faremo un altro lavoro. Io dico questo. “Biutiful Cauntri” è stata una esperienza non studiata. Non penso di farlo, a meno che non si ripresentino le esigenze. Le idee ci sono, non lo nego. Ma solo se sentissi l’esigenza mi metterei a fare un altro lavoro. Non vogliamo farlo solamente per sfruttare il momento propizio. Questa cosa andava raccontata, avevo, personalmente, una rabbia dentro. Nel caso ci fosse un’altra situazione simile,non mancherò. Per adesso no a un “Biutiful Cauntri” parte seconda. E sono parimenti convinto che se si racconta l’inferno non si debba tralasciare anche il racconto della bellezza. Vanno avanti parallelamente. Raccontare il positivo deve essere un esercizio sempre presente.

In questo Paese, cosa si dovrebbe fare per avere “Biutiful Cauntri” in televisione?

Non lo so. In un paese normale “Biutiful Cauntri”, come altri grandi documentari, andrebbe in televisione. Penso ci sia un problema di etica. Se questo e altri lavori non vanno sulla tv pubblica, mi sento preso in giro. Noi lo abbiamo proposto alla Rai. Sicuramente ora che l’emergenza rifiuti è sparita dall’agenda, non ci sono possibilità. Sarebbe un segnale importante, certo. Ma anche così va bene. Se il documentario gira da solo, come un mondo a sé. E viene proiettato e commentato in tutta Italia.

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