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Pescara, il sistema D’Alfonso

Di Luca Pantaleo il . Abruzzo

Lo chiamavano sistema D’Alfonso.
Con questa espressione, mutuata dal titolo di un noto film spaghetti-western
di qualche anno fa, si era soliti in città descrivere la struttura
affaristico-dirigenziale che ruotava intorno all’assegnazione degli
appalti e più in generale al rapporto di stretta collaborazione, tanto
stretta da destare più di un sospetto, tra amministrazione comunale
e imprenditoria locale. Luciano D’Alfonso, ex dirigente dell’Anas,
diventato il più giovane presidente di provincia d’Italia nel 1995
a soli trent’anni, aveva fatto del rapporto diretto con le imprese
il suo modus operandi privilegiato. Un rapporto diretto ma spiraliforme,
stando al quadro prospettato dai magistrati nelle ordinanze di custodia
cautelare, che ha finito col ripiegarsi su se stesso e travolgere quello
che, nel bene e nel male, verrà ricordato come il sindaco più discusso
e più chiacchierato della storia cittadina. Da questo punto di vista,
D’Alfonso è emanazione piena di una città da sempre in mezzo al
guado, divisa tra l’aspirazione al pieno decollo verso modelli di
sviluppo urbanistico tipici dell’Italia settentrionale, ma con tutti
i limiti e le contraddizioni di una città del Mezzogiorno d’Italia. 

Luciano D’Alfonso, “il
sindaco che le cose le fa” (questo il suo slogan alle ultime elezioni
amministrative), probabilmente di cose ne ha fatte anche troppe, tradito
forse da quella sua famigerata tendenza di strafare a cui aveva abituato
i pescaresi in questi cinque anni e spiccioli di mandato. Le indagini
della Procura della Repubblica di Pescara hanno portato alla luce l’esistenza
di un vero e proprio comitato d’affari, che comprende imprenditori,
funzionari e dirigenti vari, ma che vede nell’ex sindaco e in alcuni
suoi stretti collaboratori il centro decisionale di quella che, nelle
ipotesi dei magistrati, è una vera e propria struttura associativa
costituita al fine di delinquere. Oltre al sindaco, al vertice del sodalizio
vi sarebbe Guido Dezio, ex braccio destro di D’Alfonso, già arrestato
lo scorso 13 maggio, che l’ex primo cittadino aveva fortemente voluto
nella sua amministrazione tanto da farlo assumere in comune tramite
un concorso ad hoc (vicenda per cui in un altro filone d’inchiesta
è indagato per abuso d’ufficio). Terzo personaggio chiave è l’imprenditore
Massimo De Cesaris, che avrebbe ricevuto in project financing i lavori
di ristrutturazione e manutenzione dei due cimiteri cittadini, in cambio
di una serie di contropartite (il gip De Ninis parla di vero e proprio
“sinallagma”) tra cui l’effettuazione di lavori edilizi gratuiti
nell’abitazione privata di D’Alfonso. Per i tre, le accuse sono
pesantissime: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione,
concussione, abuso d’ufficio, truffa e falso ideologico. 

Ma l’ampiezza e il carattere
reticolare del sistema D’Alfonso non si arresta certo ad un appalto
cimiteriale. Sotto accusa anche il mega-bando, probabilmente il più
sostanzioso della storia della città (53 milioni di euro per un giro
d’affari di circa 400 milioni in trent’anni) per l’affidamento
in gestione dell’ex area di risulta della stazione centrale alla Toto
Costruzioni spa. Tra gli indagati figurano infatti anche il patron Carlo
Toto (fresco salvatore di Alitalia) e suo figlio Alfonso. Peraltro,
voci insistenti parlano di un’altra inchiesta che starebbe per giungere
a conclusione e che lega a doppio filo proprio Toto e D’Alfonso. Si
tratterebbe in questo caso dell’assegnazione di un appalto per la
costruzione della strada cosiddetta mare-monti (perché collega l’entroterra
al capoluogo adriatico), la cui costruzione fu a suo tempo bloccata
grazie ad un esposto del WWF. Infatti, il progetto del tracciato prevede
il passaggio di un viadotto all’interno dell’oasi protetta del Lago
di Penne. 

Presunte irregolarità ci sarebbero
anche nella costruzione della nuova sede della regione Abruzzo a Pescara
affidata a Luigi Pierangeli, imprenditore del cemento e della sanità
molto noto in città. Ma si parla ancora di viaggi gratis, possibilità
per il sindaco ed i suoi collaboratori di utilizzare automobili e aerei,
di finanziamenti più o meno mascherati a fondazioni ed enti vicine
all’ex primo cittadino. Tra questi figura l’associazione Europa
Prossima, che nelle ipotesi degli inquirenti altro non è se non una
scatola vuota utilizzata per finanziare il partito della Margherita.
Persino la convention di Prodi nel 2005 sarebbe stata pagata in questo
modo. 

L’inchiesta coinvolge nel
totale una trentina di indagati, e non è detto che non possa riservare
nuove sorprese nei prossimi giorni. L’Abruzzo nel frattempo ha rinnovato
l’amministrazione regionale e ha mandato ai suoi politici un preoccupante
segnale di rassegnazione con un astensionismo di massa. Per ora, agli
abruzzesi non resta che stare a guardare attoniti l’ennesima vicenda
di malcostume che coinvolge gli strati più alti dell’amministrazione
pubblica territoriale. L’esistenza di un grosso deficit di legalità
in talune realtà istituzionali abruzzesi è ormai innegabile.

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