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Trapani – operazione “Cosa nostra resort”

Di redazione il . Dai territori, Sicilia

Lo scorso 10 dicembre a Trapani sono stati eseguiti nove ordini di
custodia cautelare, otto società sequestrate del valore di trenta
milioni di euro. E’ il bilancio brillante dell’inchiesta “Cosa Nostra
Resort” condotta dalla Squadra Mobile di Trapani, diretta dal Vice
Questore Giuseppe Linares  e dalla Guardia di Finanza di Trapani, che
con loro incessante impegno ed a cui va tutta la nostra gratitudine, ha
messo alla luce gli affari delle cosche mafiose trapanesi e i loro
collegamenti con la politica e l’imprendioria. Le intercettazioni
rivelano come dal carcere i mafiosi riuscivano a inviare all’esterno
ordini e direttive per pilotare appalti pubblici o contattare politici.
Destinatario del provvedimento anche l’attuale vice sindaco di
Valderice, Francesco Maggio.

Il provvedimento è stato emesso dal gip del tribunale di Palermo,
Antonella Consiglio. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore
aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato, e dai sostituti Paolo Guido e
Andrea Tarondo.

Le cosche erano riuscite, attraverso prestanome, a mettere le mani sui
finanziamenti pubblici della Provincia di Trapani e della Regione
siciliana per la realizzazione del resort “Residence Xiare Srl”.
L’imprenditore Tommaso Coppola, ritenuto vicino al capomafia latitante
Matteo Messina Denaro, avrebbe ordinato dal carcere le variazioni di
intestazione dei beni per evitarne il sequestro e avrebbe indicato i
politici da contattare per ottenere «favori». Gli investigatori hanno
accertato che Coppola, con la complicità di consulenti, come Francesco
Mineo (anche lui arrestato), ha occultato i propri beni, tentando di
condizionare settori politici e istituzionali, al livello locale,
regionale e nazionale, su strategie imprenditoriali.

L’imprenditore, secondo quanto ha riportato l’Ansa, chiedeva ai suoi
complici di contattare il senatore del Pdl Antonio D’Alì, all’epoca
sottosegretario all’Interno, per farlo intervenire in favore di
un’impresa, oggi sequestrata.  Dalle intercettazioni emerge che Coppola
ordina al geometra Vito Virgilio e all’ex vice sindaco di Valderice,
Camillo Iovino (ora sindaco), di contattare il senatore D’Alì «affinché
perorassero la Siciliana inerti e bituminosi srl per una fornitura di
inerti per i lavori del porto di Castellammare del Golfo».  Proprio
sulle forniture della Siciliana inerti bituminosi si apprende dalle
intercettazioni che Coppola avrebbe sempre fatto riferimento,
attraverso altre persone, all’ex sottosegretario all’Interno, per farlo
intervenire anche sull’ allora prefetto di Trapani (Giovanni Finazzo)
affinché un’azienda sequestrata alla mafia (Calcestruzzi  ericina)
continuasse a servirsi del materiale fornito dalla società
dell’imprenditore arrestato.

Inoltre avrebbe ordinato di contattare il responsabile della Comesi,
l’impresa aggiudicataria per la realizzazione del porto di
Castellammare del Golfo in merito a una commessa da realizzare.
Il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato ha puntualizzato
che «allo stato nessun politico è stato raggiunto da informazione di
garanzia. Non posso dire se ci sono indagini o meno». Scarpinato ha
aggiunto che l’imprenditore Tommaso Coppola, condannato per mafia, «ha
incaricato un suo parente, una persona a lui vicina, di contattare un
amministratore locale, un dirigente di Forza Italia, per riferire il
suo messaggio a un parlamentare nazionale».

Dal carcere i mafiosi decidevano le strategie processuali che
riguardavano altri imputati inviando “messaggi” rivolti a indurre gli
imprenditori arrestati perché coinvolti in altre inchieste su mafia e
appalti «a non fornire», contrariamente a quanto si verifica in altre
zone della Sicilia, alcuna collaborazione all’autorità giudiziaria. I
boss ordinavano, fra l’altro, di scegliere per loro il processo con il
rito ordinario, secondo la regola vigente in Cosa nostra trapanese, per
cui la fedeltà all’associazione mafiosa deve essere dimostrata anche
con il rifiuto di collaborare o di accedere al patteggiamento della
pena, che è considerato un vero e proprio scendere a patti con lo Stato.

Le accuse a vario titolo sono di trasferimento fraudolento di valori,
per avere pianificato l’attribuzione fittizia, a diversi imprenditori
prestanome, della titolarità delle quote di numerose società per
eludere le disposizioni di legge sulle misure di prevenzione, e di
tentata truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti
pubblici. Tutti aggravati dall’avere avvantaggiato la mafia.

Fanno impressione le dichiarazioni fatte dal Procuratore aggiunto
Scarpinato “L’economia meridionale non è zavorrata, come molti pensano,
dall’imposizione del pizzo ma da una classe dirigente che, invece di
utilizzare i soldi pubblici per dare lavoro, li usa per attività
illecite”.

Tale situazione va a scapito dell’occupazione e dello sviluppo vero e
porterà ad una crisi incontrovertibile che peserà come un macigno sul
futuro dei nostri figli.

Una volta la mafia trafficava droga. Imponeva il pizzo, bruciava i
negozi di chi non voleva pagare. Oggi la mafia ha il volto di
imprenditori insospettabili. Di gente apparentemente onesta. Perché
trafficare droga ed imporre il pizzo non conviene. Si rischiano
condanne fino a vent’anni di reclusione. Ed invece le truffe sono
punite con pene irrisorie e consentono lauti guadagni. I mafiosi si
sono fatti due conti ed hanno capito che era meglio puntare sulla
finanza.

Condividiamo con quanto affermato dal sen. Giuseppe Lumia, componente
della Commissione antimafia, che “La politica deve avere il coraggio di
approvare una norma sull’ incandidabilità di quanti sono coinvolti in
indagini di mafia, trasformando in legge quel codice etico che per la
prima volta è stato applicato nella scelta dei commissari antimafia”.

Oggi cominciamo a comprendere meglio a chi sia da attribuire, alla luce
delle intercettazioni, la vicenda del “trasferimento” da Trapani del
Prefetto Fulvio Sodano.

La commistione tra politica, mafia, massoneria ed imprenditoria (quella
dei colletti bianchi), da tempo invocata dalla Magistratura e dalla
parte sana della politica, ed indubbiamente responsabile di una
gravissima ed antidemocratica distorsione del risultato di molte
competizioni elettorali locali, provinciali e regionali, in questa
occasione, se ancora ce n’era il bisogno, è stata ampiamente
dimostrata.  

Il disprezzo della legalità e delle regole che negli ultimi anni si è
determinato in provincia di Trapani appare finalmente molto più chiaro
nell’inquietante scenario venutosi a definire con l’operazione “cosa
nostra resort”, il quale impone una seria ed urgente presa di coscienza
civile e di denuncia incondizionata, soprattutto da parte di quel mondo
politico ed imprenditoriale che vuol definirsi onesto, trasparente ed
impegnato per il territorio. 

 
Trapani, 15 dicembre 2008
                              

I Referenti dell’Associazione Un’Altra Storia della Provincia di Trapani:

Piero Di Giorgi

Diego Gandolfo

Peppe Gandolfo

Francesco Garofalo

Franco Lo Re
Rino Marino

Norma Ferrara

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