Trapani, Cosa nostra e i salotti dei potenti
L’appalto era tanto vigilato dalla prefettura e dalla commissione straordinaria che gestiva l’amministrazione comunale a Castellammare del Golfo, che ad aggiudicarselo fu una associazione di imprese costituita dal “Consorzio Veneto Cooperativo” (ve.co/” target=_blank>CO.VE.CO), di Marghera, il cui presidente, Antonella Colavizza, trevigiana, risulta denunciata per turbata libertà d’incanti ed associazione per delinquere; dalla COGEM di Alcamo e dalla “CO.M.E.S.I. di Palermo, il cui amministratore unico è una donna, Rosalia Rita Olinda Taormina, figlia di un soggetto condannato dal Tribunale di Reggio Calabria per turbativa d’asta. L’appalto è quello per la costruzione del porto di Castellammare, gara da 20 milioni di euro, dal carcere l’imprenditore boss Tommaso “Masino” Coppola fremeva perchè “gli impegni presi” venissero mantenuti e così incaricava il nipote, Salvatore Fiordimondo, perchè contattasse “Camillo” (Iovino, oggi sindaco di Valderice) perchè a sua volta parlasse col “senatore” – Antonio D’Alì. Ma non solo per questo appalto anche perchè le sue imprese continuassero a fornire la Calcestruzzi Ericina, si proprio questa. L’azienda confiscata al capo mafia Vincenzo Virga e che i mafiosi volevano riprendersi, facendola fallire e quindi inducento il Demanio a svenderla. Quando il tentativo fu sventato, merito del prefetto dell’epoca Fulvio Sodano, che raccontò di essere stato rimproverato dall’allora sottosegretario all’Interno D’Alì perchè turbava il mercato convocando gli imprenditori assegnatari di appalti pubblici per dir loro di comprare a parità di prezzo il cemento dall’Ericina, quando la Calcestruzzi non chiuse più, arrivò Coppola a far da fornitore, fino a quando non fu arrestato. A quel punto gli amministratori giudiziari dell’azienda si posero il problema se continuare o meno a far le commesse per le forniture presso le imprese di Coppola. Chiara quale era il destino, e Coppola dal carcere al solito nipote diede lo stesso incarico come per il porto di Castellammare, “parla con Camillo perchè parli col senatore” e poi da questi per arrivare al prefetto, nel frattempo era giunto Giovanni Finazzo. L’amministratore giudiziario della Ericina Luigi Miserendino sentito dai pm ha detto che effettivamente Finazzo lo chiamò, fu cauto ma espose il problema, giusto quello di cui parlava Coppola col npote. Il prefetto secondo il racconto di Miserendino riferì a questi che gli amministratori della società si erano fatti avanti, avevano rappresentato che Coppola non c’era più in quelle aziende, insomma Miserendino e l’altro amministratore, l’avv. Castelli, dovevano valutare, erano liberi di agire, ma erano invitati a tenere conto di quel contesto.
Annotano i pm nel loro provvedimento: da un lato infatti non può essere un caso che immediatamente dopo la richiesta del Coppola, il Prefetto abbia effettivamente convocato gli amministratori della Calcestruzzi Ericina proprio in merito alle forniture della SICILIANA INERTI BITUMINOSI, esattamente come richiesto dall’imprenditore detenuto. Dall’altro lato è estremamente significativo il fatto che il Prefetto abbia trattato personalmente la questione con gli amministratori della Calcestruzzi Ericina; è da ritenere, infatti, che ben difficilmente il massimo rappresentante dell’Autorità Amministrativa della provincia di Trapani avrebbe trattato personalmente la questione della fornitura ad una impresa confiscata se sollecitato solo da alcuni dei soci di una ordinaria società commerciale già amministrata da un affiliato mafioso. Deve pertanto ritenersi che, accanto alla conversazione con i soci della Siciliana Inerti Bituminosi, lo stesso Prefetto sia stato sollecitato dal soggetto politico attivato dal Camillo Iovino che si identifica evidentemente nel Senatore Antonio D’Alì all’epoca Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno, e quindi in stretto rapporto istituzionale con il Prefetto.
Iovino sentito a poche ore dal blitz dalla Procura (come persona informata dei fatti e nion per un colloquio come ha detto lui in una nota diffusa alla stampa) ha smentito ogni suo intervento, definendo millanterie le parole “intercettate” tra Coppola e suo nipote. Il sen. D’Alì ha commentato:
–> “Da oltre 10 anni seguo con assoluta serenità e mi difendo con successo nelle competenti sedi da notizie false ricorrentemente propalate da organi di informazione per alimentare un clima di sospetto sulla mia attività politica soprattutto nei momenti in cui riscontra positivi risultati per il territorio. Anche questa volta dovrò seguire la stessa strada. A maggior ragione in questa occasione in cui gli stessi magistrati ed inquirenti hanno messo a tacere ogni possibile illazione”.
«A Trapani, terreno elettivo della mafia dei colletti bianchi – ha detto invece il procuratore aggiunto della Dda Roberto Scarpinato – Cosa Nostra si avvale della complicità di avvocati, ragionieri, esperti che studiano come annullare gli effetti dei provvedimenti adottati dalla magistratura. Nel trapanese l’economia non è zavorrata dal racket delle estorsioni, ma da pezzi di classe dirigente. Questo è il dramma». «Dobbiamo compiere un salto di qualità culturale – ha aggiunto – i media devono aiutarci a far capire che la mafia non è bassa macelleria criminale; oggi la mafia i soldi li fa con la testa e non con i muscoli, studiando l’ordinamento per perseguire il massimo dei profitti con il minimo sforzo». Per il magistrato, «una mafia che pensa mette in campo degli insospettabili».
A Trapani il pizzo lo pagano in pochi». Lo sostiene il capo della Mobile, Giuseppe Linares, secondo cui quella trapanese è prevalentemente una «Cosa Nostra dei salotti con potenti collegamenti istituzionali», una sorta di «borghesia mafiosa che coopta imprenditori» e che rivolge le sue attenzioni verso reati puniti con pene minori, «come la truffa, ad esempio».
Altra particolarità che caratterizzerebbe Cosa Nostra trapanese è quella del silenzio. «Mentre gli affiliati del clan Lo Piccolo – ha sostenuto Linares – decidevano di collaborare con lo Stato, dalle carceri i reclusi trapanesi facevano pervenire il messaggio che non si parla e non si patteggia».
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