Lo sentii mandare al diavolo per telefono potenti ministri del suo stesso partito…
E’ morto, a 85 anni, Emilio Rossi, storico direttore del Tg1, poi ai vertici della Rai e successivamente di Radio Vaticana e di Sat2000, presidente dell’UCSI e del Comitato Etico del servizio pubblico radiotelevisivo.
Fu ferito gravemente in un attentato dalle Brigate Rosse. Liberainformazione vuole ricordarlo per la sua statura morale ed intellettuale e per i suoi valori professionali sempre più rari nel’informazione del nostro Paese.
Se è vero che ciascuno si forma nel lavoro e nella vita anche per le
persone che ha incontrato sul proprio cammino, a Emilio Rossi devo
molto di ciò che sono. Per questo oggi, mentre la commozione per la sua
scomparsa è acuta, non va ricordato solo il grande professionista,
l’intellettuale profondo, l’uomo di valori morali e di coerenza etica,
il credente che ha trasferito la fede religiosa nell’impegno civile con
tolleranza e rispetto delle idee diverse dalle sue.
Altri lo faranno,
forse non tanti come Emilio Rossi meriterebbe, perché questa fase del
Paese è intrisa di arroganza del potere, di intolleranza, di
individualismi, l’antitesi di ciò in cui egli credeva e che ha
trasferito a generazioni di giornalisti. Così voglio ricordarlo traendo
alcuni sprazzi da un caleidoscopio di 40 anni. Lealtà, chiarezza,
misura dei propri limiti, spirito di squadra, rigore e pluralismo nel
rispetto dei fatti e delle opinioni. Ecco per me le cose essenziali
che ne hanno fatto un Direttore davvero unico e un maestro.
Prima
della riforma, quando era un potente Segretario di Redazione del
telegiornale unico, mi lamentai con lui perché il mio nome era apparso
solo nei titoli di coda in uno Speciale sul conflitto Cina-Urss, dove
avevo lavorato al fianco di Gianni Granzotto, spesso sostituendolo.
“Vedi, Roberto –mi disse con serenità e apparente freddezza- ai giovani
fa bene un po’ di oscurità”. Ci rimasi male, ma in realtà c’era già
affetto e una lezione vera. Mi aveva offerto una esperienza unica al
fianco di un celebre giornalista e avevo poco più di 20 anni… Non le
luci della ribalta, ma l’essenza dei contenuti di un mestiere.
Anni
dopo, quando partì il TG1 per il quale avevo “optato” e dove, insieme
con l’impegno nel sindacato (e quello politico nel PCI) lavoravo da
cronista con passione, mi chiamò e insieme con un apprezzamento mi
pose la scelta: o diventare inviato o caposervizio. Per lui la
confusione degli incarichi non andava bene. Fu una scelta travagliata e
optai per il caposervizio. Anche questa una lezione, che cercai sempre
di mantenere in successivi incarichi di direzione. Oggi sembrano altri
tempi, in una gestione approssimativa, dove accade tutto e il contrario
di tutto e gli impegni redazionali si mescolano con la libidine del
video a cui spesso non corrisponde preparazione, dove l’apparire è
invece dell’essere, magari per la voglia di essere riconosciuti dal
barbiere o dal portinaio. Un Direttore che arrivava in redazione prima
di tutti, informatissimo, non solo avendo letto i giornali e sentiti i
primi GR, ma telefonato e svegliato qualche caporedattore regionale o
corrispondente all’estero. E ti interrogava nelle riunioni di sommario,
scoprendoti a volte assonnato e in possesso di un decimo dei dati che
avresti dovuto conoscere. Ma anche il Direttore che non accettava
interferenze politiche sul lavoro. Lo sentii mandare al diavolo per
telefono potenti ministri del suo stesso partito, la DC. Così lo
vedemmo affrontare, in uno studio di Via Teulada allestito per le
elezioni, il segretario socialdemocratico Pietro Longo, che reclamava
non so che cosa. Un omino magro, Emilio, ma inflessibile e tenace, che
prendeva di petto un omone grande e grosso, ma ben più vuoto di idee e
di principi, espellendolo dallo studio…
Ed Emilio Rossi ferito dalle
Brigate Rosse nell’agguato in Via Teulada, dopo essere sceso
dall’autobus portando in mano l’ultimo libro di Pietro Ingrao. Non
amava l’auto di servizio, così fu mitragliato in strada da terroristi
fanatici che, intendendo colpire un simbolo, lo massacrarono nel
fisico, ma non certo nello spirito. Ero allora nel comitato di
redazione e denunciai la viltà, l’insensatezza dell’agguato brigatista
e del disegno eversivo nell’assemblea subito riunita dalla Federazione
della Stampa. Successivamente lo andai a trovare nella dolorosa degenza
al Policlinico Gemelli, dopo l’operazione alle gambe che lo costrinse
al bastone per tutta la vita. Portai alla sua insaziabile sete di
conoscenza l’ultimo libro di Oriana Fallaci, “Insciallah”. Ero certo
che, nella sua granitica formazione cattolica, forte dei saggi che
aveva scritto sul pensiero di Maritain, avrebbe gradito uno sguardo
laico sul mondo mussulmano. E come scordare che con quel bastone del
destino, tornato al posto di comando del TG1, avrebbe a volte spazzato
via gli oggetti sulla scrivania, in insospettabili impeti d’ira
nell’abituale flemma, avendo visto in video un improvviso “nero” o
disattesa la qualità di un servizio. Anni di grande competizione
creativa con il TG2, giornali diversi per linea e linguaggio, ma
entrambi con forti motivazioni professionali e, anche se sfaccettata,
un’unica fedeltà al servizio pubblico.
E in seguito l’averlo
felicemente rincontrato in tanti dibattiti, con strade ormai separate,
ma sempre ascoltando da lui riflessioni alte, mai banali, ancorate ad
una cultura e a un’etica di rigore intellettuale purtroppo sempre più
rara in un’informazione in declino, spesso subalterna ai poteri forti,
priva di quei valori fondanti che intessevano la sua vita. Ed è per
quei valori, che hanno certo seminato qualcosa che resta, che ad Emilio
è stato assegnato quest’anno il Premio Ilaria Alpi alla carriera.
Emilio ne fu felice e lo rimarcò alla consegna in Campidoglio con un
intervento memorabile per contenuti civili, pari all’equilibrio del
tono elegante e sommesso.
Caro Emilio, tanti di noi, che abbiamo
avuto l’onore (e l’onere) di lavorare al tuo fianco, sentono,
nonostante l’età e i percorsi, di essere rimasti giovani dentro, di non
avere tradito la lezione che ci hai dato fino alla fine.
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