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“Ora anche in Abruzzo si può parlare di mafie”

Di Luca Pantaleo il . Abruzzo

Finalmente anche l’Abruzzo
si è svegliato. Ci è voluto tempo, pazienza e tenacia, ma il messaggio
alla fine è passato e la consapevolezza del problema adesso aumenta,
si diffonde. Una regione già abbastanza vilipesa ed umiliata dai recenti
scandali politico-dirigenziali che, non a caso, da queste parti sono
stati tutti ribattezzati con nomignoli che ricordano un periodo infame,
triste per la democrazia italiana come Tangentopoli: nella versione
abruzzese, abbiamo Sanitopoli (presunta corruzione nel sistema sanitario
regionale che ha portato all’arresto di Del Turco e sodali), Fangopoli
(presunto smaltimento illecito di fanghi e liquami che coinvolge importanti
amministratori locali), Acquopoli (rinvenimento della discarica abusiva
più grande d’Europa in una zona prospiciente le falde acquifere da
cui veniva rifornito il circuito acquedottistico di Pescara e Chieti).

Sarà stata l’esasperazione,
o piuttosto (come si dice in questi casi) l’indignazione della cittadinanza
attiva nei confronti di una classe dirigente che, proprio quando sembra
aver toccato il fondo, si mette a trivellare freneticamente il sottosuolo
alla ricerca dell’estremo abisso. Fatto sta che, in un modo o nell’altro,
anche in Abruzzo siamo finalmente arrivati al punto in cui quando parli
di mafie, infiltrazioni e riciclaggio non pensano più che sei affetto
da gravi patologie psichiche, manie di persecuzione o sindromi del complotto.
Al contrario, si fermano ad ascoltarti. 

È in fondo proprio grazie
a questa nuova sensibilità, il cui seme iniziale va fatto risalire
al preziosissimo lavoro di Giuseppe La Pietra, che si è resa possibile
la realizzazione del seminario di Libera Informazione a Pescara lo scorso
14 novembre, seminario di cui si è accorto persino il quotidiano Il
Centro che tradizionalmente non si è mai distinto per la particolare
attenzione al problema della legalità (http://ricerca.quotidianiespresso.it/ilcentro/archivio/ilcentro/2008/11/15/CA4CQ_CA401.html). 

L’idea di costruire insieme
un osservatorio locale per la legalità è stata accolta con entusiasmo,
riscuotendo apprezzamenti ed adesioni anche aldilà dell’iniziativa
del 14 novembre: sono molti quelli che, pur non avendo partecipato al
seminario, mi hanno contattato in questi giorni per esprimere la loro
disponibilità a contribuire al progetto con le rispettive abilità
e competenze. 

Certamente i problemi sono
molti e gli avversari sono molto più forti di noi. Le questioni aperte
e più urgenti allo stato attuale riguardano in primo luogo la delicata
vicenda dei centri commerciali, in particolare nel comune di San Giovanni
Teatino dove Alessandro Feragalli, segretario di un circolo intitolato
non a caso a Peppino Impastato, sta da mesi denunciando le numerose
stranezze verificatesi nei processi di concessione e costruzione delle
diverse strutture esistenti o in via di realizzazione. Feragalli ha
già subito un attentato incendiario e numerose altre intimidazioni
e pressioni più o meno indirette. 

Un altro fronte caldo è rappresentato
dal degrado ambientale in cui è sprofondata quella che, quasi per un
beffardo scherzo della storia, è sempre stata internazionalmente considerata
la regione verde per eccellenza. Anche l’Abruzzo ha scoperto di essere
un tappetino: non appena lo si alza, salta fuori veramente di tutto.
Rifiuti chimici industriali stoccati nelle vicinanze delle falde acquifere
(la già citata Acquopoli), laterizi disseminati sul territorio, enormi
cumuli di rifiuti depositati nelle aree golenali dei fiumi e continui
sequestri di imprese che producono compost con liquami e materiali di
scarto altamente tossico (l’ultimo in ordine di tempo a Montesilvano,
a due passi da Pescara). Su tutti, poi, svetta lo scellerato progetto
dell’attuale governo (iniziato nel 2001 e proseguito in questi mesi)
di declassare l’Abruzzo a “regione mineraria”, adibita all’estrazione
e raffinazione petrolifera: le trivelle spuntano come funghi a largo
delle nostre coste, mentre le colline del Montepulciano dovrebbero ospitare
il cosiddetto Centro Oli dell’ENI, che a dispetto del nome non è
altro che un centro di desulfurizzazione e raffinazione del petrolio
e non un grande frantoio del rinomato olio dei colli teatini. 

Insomma le cose da fare sono
tante e verrebbe quasi da scoraggiarsi. Ma se ne discuteva una delle
scorse sere con Don Ciotti: c’è la volontà, la consapevolezza del
problema e le competenze necessarie per impegnarsi ed ottenere risultati.
Probabilmente non vinceremo tutte le battaglie, e senz’altro non cambieremo
il mondo: ma già se salvassimo il vino e l’olio, non sarebbe certo
un risultato irrilevante. 
 

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