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Raffaele Sardo – La Bestia

Di Stefano Fantino il . Recensioni

Gli ultimi caratteri del suo
ultimo libro, Raffaele Sardo, li dedica alla speranza. Come uno spiraglio
di luce, come un grido fiero di quella gente che in questi luoghi non
dimentica, non china la fronte, non abbassa la guardia. E’ già molto,
trovare questo barlume di vita, nella fangosità opprimente e cupa che
contraddistingue il canovaccio, ormai fin troppo abusato, delle troppe
opere opache che  hanno invaso le librerie da qualche anno. Da
quando parlare di Casalesi, camorra, Terra di Lavoro sembra essere una
necessità impellente per tutti. Sono diversi però i pregi di questo
libro. Capaci di renderlo davvero significativo tra i tanti.  

Ho sempre ritenuto l’umanità
una grande qualità, fondamentale in determinati campi. “La Bestia”,
ultimo lavoro del giornalista casertano Raffaele Sardo è sostanzialmente
un libro umano. Capace cioè di avvicinarsi alle vicende che racconta
in maniera silenziosa, poco invasiva e assai comprensiva dell’altro.
Con l’intento di mettere al centro delle storie che narra le persone
che le hanno vissute. Raramente una tale profondità era stata dedicata
alla narrazione della vicenda di sei uomini, uccisi dalla barbarie camorrista.
Sardo decide di raccontarne la storia partendo dalle voci dei familiari,
degli amici. Un’operazione di memoria tanto delicata quanto sorprendente
nel ricostruire gli antecedenti e lo svolgersi delle loro tragiche sorti.
Don Diana e Salvatore Nuvoletta, parroco e carabiniere. Federico Del
Prete e Franco Imposimato, sindacalista e impiegato.  Attilio Romanò
e Alberto Varone, informatico  e commerciante. Sei storie che dalle
nebbie del passato ritornano vividi e nitidi nei ricordi dei loro cari,
nelle voci di chi li ha conosciuti e vuole, ancora una volta, conservarne
la memoria e donarla agli altri.  

Di fronte a questa impostazione,
il lavoro giornalistico di ricostruzione e cronaca viene sfruttato da
Sardo per tratteggiare sullo sfondo delle vicende umane delle vittime,
un quadro storico importante e particolareggiato. Tuttavia sempre, giustamente,
subalterno al preponderante spazio dedicato alle voci di chi, con il
proprio racconto, permette che di quelle vite ancora ci si ricordi.
Vittime speso dimenticate, abbandonate dalle istituzioni, relegate nella
soffitta della memoria. Quello di Sardo è un monito a evitare l’oblio.
E ad aver consapevolezza delle vicende tragiche che hanno segnato la
vita di molte famiglie, straziate dalla camorra e così vicine a noi,
nelle pagine dell’autore, per la profonda umanità e semplicità del
loro dolore. La vicenda di Domenico Noviello, ucciso da pochi mesi, 
citata nella postfazione, è l’ennesimo esempio di vita spezzata. 
E un altro invito a non dimenticare, a rifuggire certe logiche. Esiste
qualcosa che si vuole porre in alternativa alla camorra. Lo si è visto
a giugno, con il festival dell’impegno in nome di don Peppe Diana. Un
gesto simbolico: un festival che prendeva, in nome della collettività,
di beni confiscati ai camorristi. E i gesti simbolici, ci ricorda Raffaele,
«contano sempre».

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