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Il coraggio di Peppino e la forza di Felicia nel racconto di Luisa Impastato

Di Anna Foti il . Dai territori, Sicilia

da strill.it/” target=”_blank”>www.strill.it  17 novembre 2008

Anche a Cinisi, a 30 chilometri da
Palermo, la mafia ha cambiato strategia. Non ci sono più morti ammazzati
per strada, ma anche la sola memoria di Peppino Impastato, ucciso per
ordine del boss Gaetano Badalamenti nel maggio del 1978, è scomoda
e non suscita lo stesso rispetto del passaggio in paese del boss Procopio
Di Maggio. Anche a Cinisi, che ospitò all’indomani della morte di Peppino
la prima manifestazione antimafia del paese, cosa nostra ha mutato aspetto.
Si proclama il lutto cittadino quando il 7 dicembre 2004 muore mamma
Felicia, ma nessuno lo osserva; al suo funerale partecipano neanche
cento persone che non saranno tra le diverse centinaia, invece, accorse
all’estremo saluto di Peppone di Maggio. A Cinisi potrebbe capitare
di chiedere dove sia la casa di Peppino Impastato, oggi Casa Memoria,
e di ricevere invece le indicazioni della casa di Gaetano Badalamenti,
esattamente “cento passi” più in là. A Cinisi Casa Memoria
è meta di persone provenienti dalla Sicilia e da tutta Italia, ma non
di chi ci passa davanti tutti i giorni e ne ha vissuto le vicende. 
Riscattato forse solo agli occhi dell’Italia ma non dei suoi cittadini,
a seguito dell’interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film di Marco
Tullio Giordana, questo è il ritratto che del piccolo comune palermitano
colgono gli occhi verde mare di Luisa Impastato, figlia di Giovanni,
fratello di Peppino. Questa è la storia raccontata a Strill.it. A Reggio
Calabria per ricevere il premio Anassilaos alla memoria dello zio, la
giovane ventunenne accompagnata dall’amica Mara Mansella, ha testimoniato
l’urgenza di operare per non disperdere la memoria e la necessità di
investire ogni energia per incidere sulla cultura.  “La mafia
si sconfigge con la cultura e non con la pistola”. Per descrivere
questa necessità, la giovane Luisa richiama subito le parole della
nonna Felicia, madre di Peppino. La cita spesso nel suo racconto, come
esempio e figura di grande forza e determinazione.  

Essere la nipote di Peppino Impastato
come ha cambiato la tua vita?

“Premetto che quando ho scoperto
di avere uno zio così importante, ancora Peppino Impastato non era
stato investito dall’ondata mediatica prodotta dal film di Giordana.
Crescendo, mi sentivo comunque fiera di mio zio e sentivo di avere ricevuto
un’eredità pesante ma bella. Dicono che io gli assomigli nel modo di
scrivere e di pensare ma ancora oggi avverto una grande responsabilità
di fronte alla quale spesso non mi sento all’altezza. Sono giovane e,
purtroppo, non ho mai conosciuto mio zio Peppino ma le parole e i racconti
instancabili di mia nonna, Felicia Bartolotta, che abitava di fronte
a casa mia, mi hanno aiutato a colmare questo vuoto. Ogni domenica,
anche l’ultima prima della sua morte, guardavamo il film “I cento
passi”; per lei era fondamentale ricordare, era fondamentale denunciare,
“ottenere giustizia e non vendetta”. Lo diceva sempre. Adesso
io raccolgo il testimone e affianco mio padre Giovanni, fratello di
Peppino, in questo lavoro di memoria. Bisogna educare e rinnovare le
coscienze, ecco perchè mio padre ha svolto una intensa attività nelle
scuole, proponendo l’educazione alla legalità come materia scolastica.
Adesso vorrei cominciare anche io a farmi sentire”. 

Che ricordo hai di nonna Felicia?

“Era una donna grandiosa. Una
nonna che ha rappresentato una parte fondamentale della mia vita. Una
mente lucida ed emancipata, nonostante l’età. Fin dalla drammatica
morte di Peppino la sua missione è stata sempre quella di non dimenticare.
Un esempio per me specie quando, costituitasi parte civile nel processo,
puntò il dito contro Gaetano Badalamenti, collegato in video dagli
Stati Uniti. Un momento di cui ho visto il filmato e che ancora oggi
mi emoziona ricordare. Un momento forte, soprattutto se penso a tutte
le operazioni di depistaggio finalizzate a mascherare il delitto di
mafia, di cui mio zio era stato vittima, con un agguato terroristico
o con un suicidio. Fu la forza di mia nonna, con il prezioso sostegno
del Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”,
a rincorrere la verità quando forze avverse ne imponevano una diversa
e distorta. Fu la forza di mia nonna a non diminuire, mentre le prove
venivano manomesse e le indagini deviate”. 

Potremmo dire che altre vittime di
mafia abbandonate dai familiari, non hanno avuto giustizia perchè,
inerte lo Stato, nessuno ha alzato la voce e preteso per loro giustizia?

“Indubbiamente sì. Se mia nonna
non si fosse ribellata anche la storia di mio zio Peppino sarebbe stata
presto archiviata. Mi viene in mente il coraggio di Rita Atria, testimone
di giustizia rinnegata dalla madre e adesso ricordata solo dalla cognata
Piera”.  

In che cosa consiste il tuo impegno
antimafia?

“La casa di nonna Felicia e
di zio Peppino, oggi è diventata il riferimento dell’associazione Casa
Memoria sempre aperta, come avrebbe voluto nonna. Siamo in pochi ad
organizzare attività e in particolare a promuovere annualmente il Forum
Antimafia in occasione dell’anniversario dell’uccisione di zio. Lo facciamo
con grande convinzione e con la solidarietà di tutta l’Italia in un
paese che ci ignora, che ci ha lasciati soli  e in cui abbiamo,
anche di recente, ricevuto delle intimidazioni”. 

Cosa pensi dell’antimafia in Italia?

“Penso che la più efficace
sia quella che parte dal basso, muovendo le coscienze”. 

Recrimini qualcosa allo Stato?

“Recrimino il fatto che la mafia
abbia radici nelle istituzioni, che lo Stato abbia offerto appoggi e
sia connivente. La risposta a questa domanda risiede nel numero di personalità
politiche indagate o imputate per mafia, nelle lungaggini della giustizia”.   

La mafia viola i diritti?

“Si. Dal diritto del commerciante
che deve pagare il pizzo a quello del cittadino che ancora ossequia
la persona mafiosa che passeggia liberamente. Questo accade ancora a
Palermo. Questo accade ancora a Cinisi”. 

E’ giovane Luisa, studia lettere
moderne e forse tornerà a sognare di fare l’insegnante. E’ giovane,
ma la sua analisi non lascia molti margini per continuare ad illudersi
che mafia sia sconfitta. Una preziosa lezione di chi, in un territorio
controllato e in ostaggio, esercita la propria libertà di coscienza
e invita tutti alla stessa fondamentale e irrinunciabile pratica per
unire la memoria ad un concreto impegno quotidiano.

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