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0.10 Maxi sequestri, riciclaggio e investimenti in Umbria

Di Norma Ferrara il . Umbria

“Non è terra privilegiata di riciclaggio questa – dichiara Libera Umbria –  ma una delle regioni che in mancanza di una criminalità organizzata locale si presta all’infiltrazione delle varie mafie e ad alleanze temporanee tra di loro per portare a termine operazioni criminali”.

 E i loro affari partiti dai quartieri di Palermo, le mafie siciliane li avevano portati sino a Terni, dove lo scorso 17 giugno la Direzione investigativa antimafia di Palermo, in collaborazione con i carabinieri del nucleo investigativo di Terni, hanno sequestrato attività commerciali e beni immobili, intestati a prestanome e fiancheggiatori della cosca mafiosa palermitana di San Lorenzo – Resuttana, per un valore complessivo di circa un milione e mezzo di euro.

Dopo le dichiarazioni dei pentiti del clan Lo Piccolo sugli investimenti post sisma in Umbria da parte di un imprenditore legato al clan, sono ancora gli affari della famiglia di S. Lorenzo a occupare il mercato legale dell’economia umbra.  A Terni infatti, sono stati sono stati sequestrati un magazzino, un supermercato ed un negozio di abbigliamento ed accessori. Ad Acquasparta due appartamenti ed un magazzino, nella vicina  Narni un ristorante. Secondo la Dia questi beni sarebbero stati intestati  fittiziamente ad un imprenditore palermitano, residente a Terni, parente dell’esponente di Cosa nostra Salvatore Lo Piccolo.

L’indagine in corso dal novembre del 2005 quando gli inquirenti hanno posto sotto controllo e accertato i rapporti tra un pregiudicato ternano, l’imprenditore palermitano ed altri pregiudicati in varie città italiane. Gli inquirenti hanno individuato così un sodalizio criminoso composto da diverse persone originarie di Terni, Verona, Palermo e Roma.  La consorteria mafiosa era dedita  anche al riciclaggio di denaro sporco proveniente da Palermo, San Lorenzo e Resuttana, riconducibile ad affiliati a Cosa Nostra. Questo denaro era stato utilizzato per acquistare le attività commerciali e gli immobili sequestrati durante l’operazione. 

Solo oggi si viene a conoscenza anche di  altro. Già nel  febbraio scorso infatti 15 però persone erano state denunciate per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e alla commissione di reati contro il patrimonio, truffe e appropriazione indebita.  Alcuni di loro (due di Terni, gli altri di Roma, Verona e Palermo) sono stati arrestati da tempo ma la notizia è rimasta riservata per parecchio tempo consentendo agli inquirenti di lavorare nel massimo riserbo fino al maxisequestro  avvenuto non solo nel ternano ma anche in Sicilia, dove sono stati sequestrati altri beni della mafia per circa 500 mila euro. 

E’ un altro duro colpo al clan Lo Piccolo e a Cosa nostra in Sicilia, ma è soprattutto un’ altra pedina importante che consente di ricostruire il percorso e le nuove rotte che le mafie hanno disegnato per i loro affari illeciti nello stivale. Dentro, ancora una volta, l’ Umbria regione da poco nell’occhio del ciclone per lo scandalo interno alla provincia di Perugia, denominato “Appaltopoli” ma attenzionata già da tempo da un calo del livello di legalità che era sempre stato il fiore all’occhiello di questo territorio.

“La situazione è difficile ma non drammatica” – come commenta Libera Umbria. La sensazione è che le consorterie criminali abbiano affondato attacchi pesanti, come dimostrano le intercettazioni telefoniche e le indagini a carico dell’operazione Naos, ma che il tessuto sociopolitico abbia retto a tale pressione, grazie al lavoro dei Ros, ma anche grazie ad una rete solida pre esistente che ha fatto si che gli umbri reagissero come in altre regioni del centro Italia a questi attacchi “senza eroismi  ma senza e omertà – come conferma Libera Umbria”. 

Come dichiarato nella relazione della Dna la fotografia di questi tentativi di infiltrazione del tessuto economico umbro, si concretizza in “un incremento degli investimenti di capitali in attività recettive, quali l’agriturismo, da parte di soggetti che presentano collegamenti con la mala. Tali operazioni sono sostenute da una notevole entità di capitali investiti e dalla bassa redditività dell’attività stessa. Due dati che segnalano di per se un comportamento imprenditoriale atipico o sospetto”. Nel mese di novembre del 2007 nel comune di Pietralunga un primo sequestro è stato disposto dall’A. Giudiziaria di Reggio Calabria nell’ambito di un’indagine che coinvolgeva i De Stefano, famiglia calabrese della ‘ndrangheta.

Il terreno, confisca di primo grado, è attualmente inserito nel lungo iter processuale che si spera porti, in tempi brevi, alla confisca definitiva del bene mafioso e al più presto al suo riutilizzo a fini sociali come previsto dalla legge sulla confisca dei beni 109/96.  Libera Umbria è da due anni in prima linea nel processo giudiziario per la completa confisca del bene. Del tentativo di conquista della città di Perugia e del territorio umbro, scrivono gli inquirenti (nell’ordinanza di custodia cautelare della Naos) “sono interessate da diversificati fenomeni illeciti che ne condizionano quegli equilibri che da sempre caratterizzano, non solo le locali relazioni economico-imprenditoriali, ma anche le abitudini di vita della collettività regionale.

Prende corpo, infatti, una situazione in cui la realtà imprenditoriale si trova a subire l’influsso di fattori esterni che determinano gravi squilibri, quali immissione di rilevanti quantità di capitali illeciti accompagnate spesso dalla pressione di condizionamenti di tipo mafioso. Allo stesso tempo è crescente la sensazione di insicurezza che viene percepita dalla società civile, oggetto di aggressioni personali e patrimoniali, nonché di intimidazioni sempre maggiori. Lo spessore criminale di alcuni dei soggetti indagati ha consentito all’organizzazione di guadagnare spazi operativi sempre più grandi, potendo essa approfittare di una sorta di rassegnata accettazione da parte della società e da parte dell’imprenditoria umbra di nuove e più spregiudicate regole, cui sono conseguite condotte di sostanziale connivenza e, a volte, di omertà”.

Ed è soprattutto l’economia umbra e il tessuto impreditoriale a sentirsi a rischio di infiltrazioni mafiose in questa terra di conquista. Camorra, oltre a ‘ndrangheta e Cosa nostra,  sono infatti in prima linea nell’aggiudicazione di importanti appalti, grazie alla tecnica del“massimo ribasso”, ovvero facendo offerte non sostenibili per altre imprese locali, in particolare nel settore edilizia, del ciclo dei rifiuti e della gestione dei servizi sanitari. E gli industriali, colpiti al cuore del sistema nei giorni dell’operazione Naos dichiarano alla stampa locale: “questa operazione dei Ros è anche la dimostrazione che la nostra non è una terra dove facilmente può infiltrarsi un’organizzazione di tipo mafioso e attecchire l’omertà. Si tratta di un successo che ridà speranza agli imprenditori e alle maestranze del settore delle costruzioni che troppo spesso sono citati solo per fatti negativi e che invece, con il loro lavoro, hanno dato e danno un contributo fondamentale al miglioramento della condizione sociale e allo sviluppo” delle nostre città.

 La conseguenza infatti, quando le mafie fanno ingresso in terreni sino ad allora vergini è un’alterazione del libero mercato e una grave crisi economica in questi settori, il tutto in una regione che ha il triste primato delle morti sul lavoro. Caporalato e illegalità sul posto di lavoro in termini di sicurezza e prevenzione degli infortuni sono infatti un’altra conseguenza dell’aggiudicazione di appalti o subappalti da parte di ditte collegate alla criminalità organizzata che molto spesso proprio per proporsi al minimo prezzo sul
mercato e ottenere lavori utilizzano manodopera in nero, spesso clandestini, e in assoluta assenza delle normative antinfortunistiche.

Ancora una volta si fa un giro lungo all’interno della regione parlando di problemi che sembrano lontani dal racket e dagli omicidi ma basta poco per rendersi conto di quanto dietro, senza troppe remore, ci siano già da tempo i tentacoli delle mafie.

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