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L’agro aversano, quella terra di nessuno

Di Pietro Nardiello il . Recensioni

L’opera prima di Gianni Solino,
“Ragazzi della Terra di Nessuno” (La Meridiana editore, euro 12,00
con prefazione di Don Luigi Ciotti), infaticabile componente del Comitato
Don Peppe Diana, il sacerdote assassinato dalla camorra a Casal di Principe
nel marzo del 1994,  da la sensazione di essere una sorta di collage
che l’autore realizza mettendo insieme pagine di un diario riposto
nel cassetto personale della memoria. Emozioni, episodi di vita vissuta,
l’abitudine alla morte, forme di linguaggio, “storie vere, in qualche
tratto appena ritoccate per non urtare suscettibilità o riaprire vecchie
ferite” è quello che Solino inserisce nella sua narrazione di un
territorio, quello dell’agro aversano, “dove “a parlare si corrono
rischi” perché “la camorra è un mondo, con le sue leggi, i suoi
codici, regole di governo” e poggia le fondamenta del potere proprio
sull’omertà.

Ciò che purtroppo emerge,
grazie ad una scrittura semplice e senza artifizi, è la desolazione
delle coscienze indirizzate al solo individualismo, “meglio farsi
i fatti propri”, mentre anche quelli che credono che il bene comune
sia la vera risposta ad un possibile riscatto non trovano interlocutore
alcuno né sul fronte politico né da quello sociale. Solitudine e materialismo
diventano gli aghi della bussola di un popolo incapace di reagire perché
“l’aggressività della camorra, capace di corrompere funzionari
pubblici, colludere con le pubbliche amministrazioni e con persone aventi
responsabilità politiche ha schiacciato sul nascere ogni forma di opposizione”.

Le pagine che Solino ci regala
assumono un alto valore simbolico perché raccolte da quella quotidianità
che sfugge a qualsiasi narratore che voglia cimentarsi nel racconto
di questi territori e dalle quali si può partire per compiere un’inversione
di rotta per costruire una comunità alternativa alla camorra. Non siamo
davanti ad un’opera letteraria che trascina il lettore costringendolo
a trattenere il fiato fino all’ultima pagina, ma proprio questa scrittura,
non sempre elegante, rappresenta quel valore in più capace di descrivere,
solo in questo modo, le aspirazioni, le speranze, i sogni traditi di
un popolo, o parte di esso, che ha visto “nella bara dov’erano custodite
le spoglie mortali di Don Giuseppe Diana anche le proprie anime ed i
propri ideali”.

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