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Saviano:” La letteratura li terrorizza e i lettori fanno paura”

Di Anna Foti il . Campania, Dai territori

E’ finito a quattordici anni
il cammino di Annalisa Durante, vittima innocente di una sparatoria
tra cammorristi. Tutte le amiche che le sono sopravvissute a Napoli,
molto probabilmente domani sposeranno un camorrista e avranno figli
morti ammazzati per onore. Questo Roberto Saviano lo sa, come sa tante
altre cose che decide, sulla scia di questo tragico avvenimento, di
raccontare. Nasce, infatti, da una bellezza deturpata e poi rubata,
la scelta di scrivere “Gomorra”. Nasce per raccontare di una colpevole
immobilità. E adesso, che quel moto d’animo è divenuto un bestseller,
Saviano  è bersaglio, insieme alla giornalista de “Il mattino”
di Napoli Rosaria Capacchione, del clan dei Casalesi. Trasposto sugli
schermi da Matteo Garrone, adesso candidato all’Oscar come migliore
film straniero, “Gomorra” racconta la presenza attiva e distruttiva
della Camorra al confine tra la provincia di Caserta, dove è cresciuto,
e quella di Napoli, dove è nato. Di quella striscia di terra compresa
tra Mondragone, Villaggio Coppola, Castel Volturno, Villa Literno, Domiziana,
Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Saviano racconta le ferite
e l’impotenza dello Stato. E per questo racconto, che il pm antimfia
Raffaele Cantone ha definito fedele ai fatti, è stato condannato dal
clan dei Casalesi.  

Sotto scorta dall’ottobre del
2006. La sua colpa, quella di avere scritto un libro che imprime nero
su bianco la violenza e la vergogna dell’attività camorristica in Campania.
Vendute oltre 1 milione di copie, la storia della Camorra sta facendo
il giro del mondo, tradotta in 33 paesi. Neanche questo piace ai Casalesi,
abituati come tutte la famiglie mafiose e costruire nell’omertà e nella
invisibilità il loro impero criminoso. Quanto spaventa quella rivoluzione
culturale che parte dalla conoscenza, approda all’indignazione per poi
sfociare nella pretesa tenace di un cambiamento…. Onore al lavoro
egregio della magistratura e delle forze dell’ordine, ma forse questo
libro, uno strumento di espressione e di conoscenza di una realtà,
spaventa molto più delle indagini e delle sentenze. Una provocazione
senza polemica che vorrebbe suggerire una riflessione: la camorra, come
tutte la mafie italiane ormai internazionalizzate, fonda infatti il
proprio potere economico sull’acquiescineza e sulla rassegnazione degli
ambienti in cui originariamente si è radicata e dove, nonostante la
lungaggine dei tentacoli, può e deve ancora essere colpita e sconfitta.
Non si spiegherebbe, altrimenti, tanta attenzione nei confronti di un
ventottenne. Un’attenzione non certamente dovuta al suo talento, ma
al realismo visivo con cui ha scritto ciò che ha vissuto, riportando
alla luce, secondo molti, il nesso tra letteratura e criminalità, tra
scrittori e impegno contro la mafia di cui non si sentiva più parlare
dai tempi di Leonardo Sciascia. Il suo è un racconto che assume i tratti
inconfondibili di un impegno attivo e inequivocabilmente orientato alla
denuncia di chi tiene in ostaggio un intero territorio e i diritti di
chi ci vive, attraverso l’approccio non violento e costruttivo di consapevolezza,
quale la scrittura. E’ lo stesso Saviano al festival della Letteratura
di Mantova dello scorso settembre a dichiarare che “la letteratura
li terrorizza e i lettori fanno paura”.

Amaramente deve ammettersi
che il livello di patologia mafiosa del nostro “sistema”, parola
cara anche ai camorristi, è tale che ormai esso stesso si rende percettibile
nella misura in cui lo Stato, nel tentativo faticoso di prevenirlo e
sradicarlo, protegge, ma solo dopo un’aggressione. E l’aggressione è
sintomo di debolezza ed è drammaticamente solo la punta di un iceberg
che in realtà cela tutto quello che Saviano ha lucidamente e dettagliatamente
raccontato, esplorando nel mondo della cocaina e del cemento armato,
laddove il potere viene mantenuto e alimentato, dove la camorra vive,
opera e lucra, dove la forza diventa reale senza esserlo davvero, essendo
frutto di connivenza, silenzio e paura. Ecco che un libro parlante in
tutto il mondo minaccia quella forza vile, costringendo chi la possiede
all’aggressione e alla violenza. 

Roberto Saviano come Salman
Rushdie. Condannato a morte dalla Camorra nella qualità autorità
invisibile, non statale, ma altrettanto invasiva – il primo – da un’autorità
religiosa ufficiale, riconosciuta e identificabile – il secondo. All’indomani
dell’ennesimo attentato allo scrittore campano e alla sua scorta e della
sua dichiarazione di lasciare l’Italia per ritrovare la libertà, lancia
la provocazione il quotidiano spagnolo “La Vanguardia”, evidenziando
tratti comuni nella storia di due scrittori che, in tempi, luoghi e
modi diversi, hanno attirato a sé minacce per il solo fatto di avere
esercitato pacificamente il diritto di parola e di espressione. Tra
i due casi la differenza  è sostanziale, nella prospettiva di
contrastare chi compra il silenzio con il sangue, ed è invece quasi
inesistente nella prospettiva di chi si ritrova condannato per avere
scritto ciò che non “doveva scrivere”, fosse anche la verità di
fatti scomodi o un’opera non gradita al fondamentalismo islamico. Il
metodo è uguale perchè l’obiettivo di recidere e spezzare le parole
fin dalla fonte è il medesimo. Salman Rushdie, scrittore britannico
di origini indiane è stato destinatario nel 1989 di una fatwa, sentenza
dell’autorità religiosa, che lo condannava a morte per il suo volume
“I versi satanici” considerato blasfemo dai religiosi islamici.
Fu la guida suprema iraniana, ayatollah Ruhollah Khomeini a scagliare
l’anatema e a destare l’indignazione di 1500 scrittori e intellettuali
che, contrariamente all’atteggiamento politically correct assunto dai
leader occidentali, si unirono al comitato internazionale per la difesa
di Rushdie e dei suoi editori, scioltosi poi nel 1998. Oggi a favore
di Saviano si schierano Dario Fo, Gunter Grass, Orhan Pamuk, Josè Saramago
premi Nobel per la Letteratura, Mikhail Gorbaciov e l’arcivescono sudafricano
Desmond Tutu, nobel per la Pace, Rita Levi Montalcini, Nobel per la
Medicina. Dunque scrittori, premi Nobel ma anche cittadini sostengono
Saviano. Migliaia di sottoscrizioni, anche da parte delle cariche dello
Stato tra cui il presidente Giorgio Napolitano e il premier Silvio Berlusconi,
per l’appello rilanciato da testate internazionali, perchè come ha
titolato “La Repubblica”, “La sua libertà riguarda tutti noi”.
Uno slancio che se non restasse tale, avrebbe in sé il potenziale necessario
per combattere la mafia. Tutto sta in quel SE e a chi, senza altro scopo,
opera per rimuoverlo.

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