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0.8 Il Clan degli ex pentiti: joint venture in evoluzione

Di Norma Ferrara il . Umbria

Affari, traffico di droga, intimidazioni e incendi a locali notturni,
rapine in banche e supermercati, ma soprattutto, un omicidio, per
regolare e gestire gli equilibri del clan (all’interno e all’esterno).
Lo chiamano il clan degli ex pentiti ed è l’operazione della Dda di
Perugia a restituirci, con l’ottimo lavoro di intercettazione ed
indagine, una radiografia base di questo clan atipico che operava sul
territorio perugino, ufficialmente fra il 2006 e il 2007. Si tratta di
un clan composto da ex collaboratori di giustizia, alcuni di loro si
sono conosciuti nel periodo di detenzione, altri sono stati
rintracciati sul territorio, perché anche ad individuarsi in un
territorio pulito ci metti poco. Gli inquirenti nel marzo scorso hanno
ottenuto l’autorizzazione, nell’ambito di una inchiesta per un traffico
d’armi, ad intercettare l’utenza telefonica di uno dei componenti,
Paolo Carpisassi, imprenditore caduto in disgrazia e fagocitato dagli
ambienti criminali, ritenuto in contatto con alcuni spacciatori
albanesi. E’ l’inizio di una storia, che continua ancora oggi a svelare
ramificazioni e affari di questo clan ben oltre il commercio di armi e
droga e che approda persino ad un omicidio.  Nei lunghi mesi di
intercettazione ambientale e telefonica, gli inquirenti scoprono
l’esistenza di un gruppo criminale composto per lo più da personaggi ai
quali è stato sospeso il programma di protezione previsto per i
collaboratori di giustizia. Una consorteria mafiosa, in qualche modo
legata ai rispettivi clan di provenienza e a nuove cellule residenti in
Lombardia. Stessa rotta in breve  percorsa dalla cocaina, non una
semplice  coincidenza poiché questo sarebbe stato, secondo gli
inquirenti, il principale business intorno al quale  “lavoravano”
Marcello Russo, pugliese ex pentito, Salvatore Conte, casalese ex
pentito affiliato al clan camorristico La Torre e  Salvatore Menzo,
siciliano di Niscemi, ex pentito. Pugliesi, campani e siciliani insieme
per gestire traffici illeciti e fornire una base per il riciclaggio dei!
 provent
i dello stesso traffico. Poi all’improvviso gli equilibri saltano e
qualcuno decide di proteggere gli affari e “salvare” la consorteria
mafiosa, anche a costo di “emettere una sentenza di morte”. La vittima
designata all’interno del Clan è l’ex pentito Salvatore Conte, che nel
marzo del 2006, definito “ingestibile” proprio  per l’uso oltre ogni
limite della cocaina. La sentenza per Conte, scatta da parte di un non
precisato “Tribunale dell’omertà”, nelle intercettazioni telefoniche si
legge “dobbiamo farlo fuori entro domenica, altrimenti salgono quelli
la e lo fanno fuori alla scappata, (al volo, in mezzo alla folla,
ovvero in pieno stile camorristico”). Sarebbe un disonore far
commettere sul proprio territorio un omicidio da gente “di fuori” così
la sentenza viene eseguita dal clan sul territorio umbro e il
camorrista Conte, affiliato alla famiglia del Clan La Torre, Casalese,
viene ucciso nel marzo del 2007 di ritorno da un viaggio in Lombardia.
Verrà  ritrovato cadavere in  un bosco a Carpiano di Monteurbino,
nell’eugubino, il 23 novembre 2007. I Ros ritrovano il corpo solo dopo
il pentimento proprio di Paolo Carpissati e l’arresto di Marcello Russo
che, raggiunto da un mandato di arresto da parte della procura di
Voghera, viene fermato dalle forze dell’ordine e racconta tutto, anche
dell’omicidio Conte. Dalle indagini della Procura di Perugia però
emergono anche altri aspetti. Questo clan non avrebbe agito in maniera
isolata sul territorio ma in continuo contatto con camorristi campani,
parte di loro stanziati nel capoluogo lombardo. Il fascicolo di
indagini che racconta la storia di questo clan viaggia su  doppi binari
a cavallo fra l’Umbria  e la Lombardia, ma anche fra la Toscana e la
Sicilia. E’ da un’inchiesta della Dda di Firenze sulle truffe
telefoniche che ha portato in carcere 18 persone residenti in varie
regioni italiane che emergono i primi collegamenti fra i componenti del
clan degli ex pentiti e le altre regioni. Al centro dell’indagine
 truffe legate ai numeri a tariffazione maggiorat!
 a 899, 8
92 e 166 o  cellulari internazionali 0088, per un giro di affari di
circa10 milioni di euro. Le indagini, hanno coinvolto oltre al
presidente dell’Arezzo calcio Piero Mancini, titolare della Fly Net di
Arezzo, anche Giuseppe Cimieri, calabrese di Ciro’ Marina di 43 anni,
residente a Perugia, il fratello Fancesco Cimieri, di 45 anni,
residente a Londra, ancora non arrestato e Carlo Contini, 46 anni,
residente a Perugia. I tre avrebbero costituito a Londra due societa’,
la Plug Easy e la Global Management Trade Ldt, dove venivano trasferiti
i soldi provento delle attività illecite. Ed  è  proprio con Salvatore
Menzo, capo del clan degli ex pentiti, che Cimieri e Contini, calabro
umbri, avrebbero avuto contatti diretti. Menzo, ex collaboratore e
gestore di un night club a Perugia (Cristal night club) sarebbe stato
contattato per riciclare 80 milioni di franchi svizzeri, attraverso la
Repubblica di San Marino. Il gip di Firenze che ha condotto le indagini
ha definito il gruppo ”una struttura criminale particolarmente
raffinata e organizzata”. Questo è solo uno dei recenti tentacoli di
questo clan che è riuscito ad intrecciare affari ben più grandi del pur
consistente commercio di droga. Non si esclude la possibilità che
indagini attualmente in corso raccontino altro di questo clan
silenzioso, singolare e pronto anch’esso all’attività di “riciclaggio”,
nuova frontiera delle mafie in Umbria. La seconda storia invece la
raccontano i colleghi di Messina e riguarda l’omicidio di Salvatore
Conte (così come riportato dai cronisti del settimanale “Centonove”).
L’ex camorrista Conte da pentito avrebbe parlato di faccende che
riguardano mafia messinese, Sacra Corona Unita, ‘ndrangheta e
massoneria.  Ad occuparsene in quegli anni il magistrato reggino
Francesco Neri, che dichiara “le deposizioni di Conte sono presenti in
importanti inchieste anche se Conte è stato collaboratore di giustizia
solo fino al 2000”. E difficile dire se, come ipotizzato nella città
dello Stretto, la sentenza di morte nei suoi confronti non !
 sia stat
a emessa anche per motivi che andavano al di la degli equilibri del
clan degli ex pentiti. Difficile capire se gli ex collaboratori di
giustizia appartenenti a questo clan siano anche pedine ancora
pericolose per moltissimi altri affari che si svolgono nelle aule
giudiziarie, nel mercato illegale dell’economia e nelle stanze dei
bottoni delle principali organizzazioni mafiose, cui continuano in
qualche modo, ad essere “affiliati”.

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