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Paga il racket, espulso dalla catena Conad

Di Salvo Palazzolo _ La Repubblica Palermo il . Sicilia

Il commerciante finisce sotto indagine perché non denuncia il pizzo e la casa madre gli toglie l´insegna e il marchio. È quanto accaduto a Daniele Riccobono, gestore del supermercato «Conad spesafacile» di via Cruillas 3: al termine delle indagini dei pm Roberta Buzzolani, Francesco Del Bene e Marcello Viola sul clan della Noce è finito indagato per favoreggiamento.

Rischia adesso di finire sotto processo accanto a 18 mafiosi. Conad ha preso subito provvedimenti. Anche la cooperativa di cui Riccobono fa parte sta decidendo sul da farsi. Dopo il blitz sul clan della Noce, scattato a giugno, Riccobono e altri commercianti erano stati convocati dai carabinieri del Reparto operativo. Le intercettazioni avevano svelato i ricatti dei boss: in sei hanno ammesso di aver pagato il pizzo.

Riccobono ha continuato a negare. Tanto è bastato per farlo finire sotto inchiesta, per favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra, come è avvenuto per una ventina di operatori economici della zona di San Lorenzo. L´imprenditore rischia di trovarsi sul banco degli imputati in cui siedono, fra gli altri, Carmelo Seidita, Pietro Tumminia, Girolamo Monti ed Enrico Scalavino, soprannominato il «re del pizzo» per la sua intraprendenza nella raccolta della «mesata». Non è davvero una buona compagnia. Nella lista dei 19 ci sono i nomi ritenuti più influenti nella geografia del potere mafioso alla Noce.

Fra Altarello e Cruillas il tempo sembrava essersi fermato agli anni d´oro di Cosa nostra. Le intercettazioni hanno accertato che i commercianti pagavano il pizzo con regolarità: due giovani esattori andavano fieri di aver raccolto 50 mila euro in un solo mese. I boss arrivavano a imporre anche il prezzo della carne, nessun macellaio fiatava. «Qua comando io ora – ricordava a tutti Pietro Tumminia, il trentasettenne reggente della famiglia di Altarello – qua ci siamo noi». E non sospettava che i carabinieri stavano intercettando ogni sua mossa, ogni parola.

Non è servito ai padrini trasferire la loro sala riunioni in un capanno di via Trapassi. Gli investigatori, guidati dal tenente colonnello Jacopo Mannucci Benincasa, sono arrivati anche lì. Così, a fine giugno, scattò il blitz nei confronti della squadra operativa del clan Tumminia, che all´interno del mandamento della Noce si divideva fra racket e traffico di droga. Con la benedizione del latitante Gianni Nicchi, l´ultimo degli imprendibili di Palermo. Tumminia gli è fedele da sempre, sin da quando tutti e due erano gli ospiti più graditi alla corte di Antonino Rotolo, il capomandamento di Pagliarelli che fra il 2005 e il 2006 meditava di scatenare una guerra di mafia contro l´altro potente di Palermo, Salvatore Lo Piccolo. Ma alla fine, Rotolo fu arrestato dalla polizia, nell´operazione Gotha del luglio 2006. Nicchi divenne latitante.

E Tumminia si trovò nella scomoda posizione di dover essere valutato proprio da Lo Piccolo, ormai tiranno assoluto della città. Così ricorda quei giorni il pentito Andrea Bonaccorso: «Dopo l´operazione Gotha, Lo Piccolo convocò una riunione a San Martino delle Scale per formalizzare la nomina dei vertici delle famiglie. Inizialmente, Tumminia fu nominato reggente di Altarello. Ma appena Lo Piccolo lesse le carte dell´indagine Gotha si rese conto di quanto Tumminia fosse stato vicino a Rotolo. Decise dunque di sostituirlo con Giuseppe Geraci». Il destino di Tumminia sembrava segnato. Ma il giovane padrino sotto esame ebbe un´ottima trovata. Racconta ancora il pentito Bonaccorso che Tumminia recapitò «un bel discorso» a Lo Piccolo: «Ma come può essere Geraci reggente se ha dei parenti nelle forze dell´ordine?».

Furono le parole giuste, Lo Piccolo ritenne che di Tumminia poteva fidarsi. Le intercettazioni hanno sorpreso il boss di Altarello mentre impartisce lezioni di racket ai suoi esattori: «Non bisogna mai chiedere al capocantiere, può essere un carabiniere. Bisogna parlare con il padrone, con il titolare. E se il capocantiere è reticente, bisogna spaventarlo, per incontrare il titolare. Se persevera, rompetegli le corna». Queste erano le regole del terrore alla Noce. E Riccobono non le avrebbe violate.

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