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Oro virtuale dal valore reale: alienazione, sfruttamento,illegalità

Di Valerio Graglia il . Internazionale

Dalla sua iniziale diffusione
su scala planetaria, da quando il suo utilizzo è aperto a tutti gli
utenti raggiungibili tramite cablaggio o satellite, da quando qualcuno
ha iniziato a guadagnarci sopra, il world wide web ovvero la rete mondiale
di computer chiamata Internet ha visto scorrere un quantità incalcolabile
di attività a scopo di lucro nelle sue pagine. Tutti i singoli gruppi
o tutte le aziende che svolgono un lavoro reale all’ esterno della
rete hanno iniziato a sfruttarla, e con lei il suo fiorente mercato,
spesso fino a maggiorare i profitti così tanto da incentrarsi solo
su questa nuova frontiera. E anche chi non aveva una vera e propria
attività da pubblicizzare nella rete o un servizio da fornire, ha scelto
di arrangiarsi sperando di ottenere una piccola fetta del web. Browser,
provider dei più assurdi, siti a pagamento a maggioranza pornografici,
offerte lavorative con le relative truffe, pubblicità sempre più molesta
(ovvero spamming), sfruttamento della pirateria.
Insomma, tutta quella porzione di rete divenuta sempre più corposa
negli anni sulla quale molti di noi si interrogano spesso. Quale sarà
la possibilità di successo e quindi di guadagno di queste attività
più o meno lecite? E quante di quelle considerabili come illecite sono
disperati tentativi di utenti di racimolare qualche soldo oppure sono
macchine economiche gestite da gruppi organizzati? Le risposte che qui
di seguito daremo aggiungeranno un terza domanda alle precedenti: è
possibile che lo sfruttamento del lavoro passi anche per la web technology
e per Internet? Purtroppo, la risposta sarà positiva. 
 
Tra tutti i settori dove si può investire nella rete, il mercato dell’
intrattenimento video-ludico è senza dubbio uno dei più grandi e costanti,
ed in questi ultimi anni ha reso il gioco online vincente in
termine di profitti per le aziende.  Partecipare contemporaneamente
con giocatori di tutto il mondo alla stessa esperienza aggiunge una
componente irrinunciabile,  per questo qui troviamo i maggiori
profitti. La Activision Blizzard Entertainment per esempio, top leader
nel settore, ha sviluppato e lanciato nel 2004 il gioco che tutt’ora
rimane in testa per utenza tra i “giochi di ruolo di massa multi giocatore
online” (MMORPG , massive multiplayer online role-playing game):
World of Warcraft. 
Puntando sulla giocabilità e sull’interazione, Blizzard aggiungendo
periodicamente tramite espansioni del gioco nuovi contenuti ha mantenuto
costante il suo pubblico, anzi lo ha incrementato vertiginosamente.
I risultati per questa società sono stati pazzeschi: attualmente conta
più di 10 milioni di utenti registrati sparsi su centinaia di server
che pagano la sottoscrizione mensile ed hanno acquistato il gioco. Possiede
il 65% del mercato del video gioco online. La società è molto attenta
a tenere segreto il suo bilancio, stimato da fonti non ufficiali oltre
i 100 milioni di dollari mensili. E se le cifre di Blizzard sono da
capogiro, non bisognare pensare che gli altri sviluppatori siano basse.
Parliamo sempre di cifre in milioni di dollari per giochi come Lineage
(giocato molto in Asia), Everquest 2, Gaia, Guild Wars, ed i più recenti
Age of Conan o Warhammer Online. Un mercato totale di 9 bilioni di dollari,
di cui fanno parte colossi come Sony e Electronic Arts. 
Tutti i videogiocatori di questi prodotti quindi passano ore ed ore
uccidendo creature fantastiche e facendo missioni in compagnia di altre
persone, tutti coinvolti con i loro avatar dentro universi 3D di ispirazione
fantasy. Per proseguire in diversi ambiti del gioco però è necessario
acquisire determinati tipi ti oggetti, abilità, talenti. Da qui la
necessità di introdurre in game una valuta virtuale, una vera
e propria moneta di scambio per assicurarsi i suddetti benefici, guadagnabile 
tramite missioni, obiettivi conseguiti ed altre operazioni analoghe,
scambiabile con altri giocatori. E che diviene spesso motivo di frustrazione
tra chi già spende troppo tempo in giochi potenzialmente infiniti e
non vuole doversi annoiare a raccogliere soldi finti. A questo punto
qualcuno si è posto un ennesima domanda. Perché non anche acquistabile? 
Qui nasce difatti la compravendita di queste valute virtuali, definiti
dalle giurisdizioni occidentali nel recente 2006 come real money
trading.
Diverse valute virtuali (ognuna di un preciso titolo video
ludico), con il proprio cambio corrente in dollari, euro o yen che siano,
naturalmente variabile, immesse in quest’anomalo mercato da broker
che sembrano strappati ad un filone fantascientifico. Qui nasce il fenomeno
del Gold Farming, la raccolta di beni virtuali a scopo di lucro.
Con un pubblico così vasto e prevedendo una possibile grande richiesta,
quindi intravedendo un notevole risvolto economico, il mercato della
raccolta di “oro” (la parola Gold
è riferita alla moneta di questo genere di videogame, spesso identificata
con l’oro) si è sviluppato ed è divenuto uno dei business attualmente
tra i più redditizi del web mondiale, portandosi dietro purtroppo oltre
che forti illeciti internazionali anche un nuovo tipo di sfruttamento
della persona e del lavoro. Se la tematica non è delle più comuni,
il giro economico che muove non può non essere preso in esame, tanto
che di recente governi come quello statunitense o quello cinese (solo
per citarne alcuni) hanno affrontato il problema. Parliamo di 1,8 miliardi
di dollari, quando viene stimato il mercato nero del real money trading.
“Nero” perché fino a poco più di un anno fa nessun governo, né
quelli dove si produce il prodotto né quello dove si consuma, hanno
preso in considerazione questo emergente fenomeno del nuovo millennio,
non soggetto ad alcune regolamentazioni. 
 
La persona che prima di tutti ha cercato di sensibilizzare il pubblico
al fenomeno, oltre che le case produttrici di videogame preoccupate
però soltanto dell’ economia interna dei loro prodotti (in seguito
vedremo come), è stato Ge Jin, un ricercatore in Comunicazioni dell’università
di San Diego della California, di origini cinesi. Inserendolo nel suo
dottorato di ricerca, Jin ha prodotto nel 2006 un bellissimo documentario
dal titolo “Chinese Gold Farmers” che si svolge in Cina appunto,
la nazione che ha visto la genesi di queste macchine produttive di denaro
virtuale e dove i gruppi occidentali che gestiscono questo denaro investono,
imparando dai predecessori dove è possibile risparmiare illecitamente
senza farsi scoprire: tramite riprese, interviste, giorni passati dentro
le cosiddette gold farm o
nelle piazze d’affari dove si scambia la valuta all’ingrosso, il
ricercatore dà una panoramica totale e decisamente approfondita sul
fenomeno e rende visibile quanto vasto possa essere un giro d’affari
per questo mercato. 
Riuscire a trovare un occupazione ben pagata è un ambizione per un
popolo come quello cinese, dedito al lavoro assiduo, ma schiacciato
sempre più dall’enorme divario economico tra i pochissimi ricchi
e gli infiniti poveri; quanto meno possedere un lavoro non pericoloso
come in miniera o nei cantieri, meno stancante di quello manuale nelle
fabbriche tessili e non, rappresenta una conquista anche se è sempre
sottopagato. Così proprio in Cina dove la manodopera abbonda, sono
nate e si sono sviluppate queste attività imprenditoriali chiamate
“youxi gongzuoshi”, letteralmente laboratori di lavoro sul gioco.
Come nelle rappresentazioni più recenti che abbiamo del lavoro “povero”
del nostro pianeta, tra operai e braccianti, questi “farmer” quasi
sempre vivono e alloggiano nel posto di lavoro stesso. Stanzoni con
20 computer ed altri macchinari adibiti sia a luogo di lavoro che ad
abitazione, appena un bagno ed una macchina del gas, materassi buttati
in terra per dormire tutti ammassati, o quando si è più fortunati
camere da letto con quattro posti. Però i turni massacranti sono facilitati
dal dover semplicemente starsene al computer, giocando i differenti
titoli del genere in questione in modo guadagnare più denaro possibile.
Uccidere migliaia  di creature mostruose, raccogliendo le poche
monetine che si prendono ogni uccisione,continuando così per pomeriggi
interi in turni da 12 ore, dove il lavoratore una volta finito cede
il posto al prossimo, alternandosi così 24 ore su 24. La valuta virtuale
viene accumulata incessantemente ,in maniera professionale. C’ è
chi prende circa 2 dollari l’ora o poco più, chi invece viene pagato
ogni volta che raggiunge una certa somma di denaro virtuale. Ogni cento
“gold” raggiunti appena dieci yuan ovvero 1,25 dollari. L’ età
di questi “professionisti del gioco” (come sono soliti definirsi)
è giovanissima, tutti maggiorenni con qualcuno sui trenta. Ma tutti
questi ragazzi sono felici in volto durante le interviste a loro rivolte.
Perché come detto in precedenza il loro lavoro è più sicuro e meno
duro. Sono oltre duecentomila, e la stima del ricercatore prevedeva
due anni fa un continuo aumento. La motivazione forte però che spinge
queste persone è che gli piace “giocare” per guadagnarsi da vivere.
Anche quando gli viene chiesto se ripetere sistematicamente per dodici
ore al giorno la stessa azione è ancora un gioco, gli intervistati
solo a tratti appaiono confusi. La tecnologia ed il video game da sempre
hanno terreno fertile nel continente asiatico, sia per passione ed ora
per convenienza dei produttori, e da qui la degenerazione: avere un
lavoro da 200 dollari al mese per giocare, che sottrae forse la dura
realtà e il disprezzo conosciuto dalle generazioni precedenti, ma che
aggiunge un tipo di alienazione tutta nuova, l’alienazione di un lavoratore
umano in mondi virtuali. Dove dalle testimonianze emerge che fare gli
straordinari è meno pesante trattandosi di presunto gioco, così si
passa da chi può permettersi un portatile per continuare a lavorare
sul posto di lavoro e chi invece, finito il suo tempo disponibile per
la postazione, prende l’ autobus per raggiungere un vicino internet
caffè per gli straordinari. Fino ad arrivare a circa 60-80 ore di lavoro
“leggero”. Da qui un reportage cartaceo sempre comprensivo di interviste
e visite in questi luoghi di lavoro, da parte di Julian Dibbell apparso
a giugno del 2007 su New York Times che incentra la sua inchiesta appunto
sul fenomeno dei Chinese gold farmers e le sue implicazioni sociali
e psicologiche. 
 
Condizioni di lavoro degradanti e un tangibile sfruttamento quindi,
supportato spesso dal governo locale, che in campo di informatica e
tecnologia cerca da tempo di raggiungere gli standard dei produttori
leader, “vicini” geopolitici come India, Corea del Sud e Giappone,
approvando tutti i progetti imprenditoriali del settore senza preoccuparsi
di garantire e controllare. Il grande illecito economico che viene
compiuto però, parte sì dalla Cina ma gonfia tasche del tutto occidentali.  
Innanzitutto, i manager dei tanti laboratori, più che degli sfruttatori
ci appaiono come sfruttati a loro volta. 
Sono ex farmer e tirano su questi laboratori con computer assemblati
e riciclati alla buona, a volte li allestiscono in edifici abbandonati
se non possono permettersene uno in affitto. Intascano sì uno stipendio
maggiore, ma senza gestire direttamente questi capitali di denaro virtuale:
per ogni cento gold, cento gil o cento coin (a seconda del gioco di
qui stiamo parlando), percepiscono di media tre dollari. Più del doppio
dei loro lavoranti, ma lungi dal renderli benestanti. Semmai un poco
meno poveri. La maggioranza delle strutture poi, sono controllate da
aziende web che pagano all’ ingrosso le quantità di denaro virtuale,
ritirandole mensilmente, e le rivendono al dettaglio sui loro siti internet
in Europa e Nord America. Se vedeste le singole cifre senza le specifiche,
i profitti potrebbero essere associati a quelli del narcotraffico. La
stessa quantità che viene pagata al lavoratore quel misero dollaro
abbondante, al dettaglio costava nel ‘06 venti dollari, oggigiorno
poco di più. Un rincaro superiore al mille per cento. Nel Real Money
Trading il giocatore occidentale acquista una certa somma virtuale da
società come IGE, Massive Online Gaming Sales, BroGame (solo per citare
le maggiori e più discusse), senza curarsi del fatto che questi grandi
gruppi si spartiscono come detto in precedenza poco meno di un miliardo
di dollari circa tutti non tassati. 
Di fatti non esiste legislazione a riguardo, né un imposta calcolabile
per questa merce. Senza altre spese, divenendo tutto guadagno netto;
ed essendo un argomento poco discusso in politica o in economia, queste
società e aziende non hanno nemmeno un incombente necessità di svolgere
questa attività in silenzio. Certo come precauzione molti gruppi hanno
i loro uffici con relativi domini web operanti in nazioni del terzo
mondo dove una carente legislazione gli assicura di non incorrere in
rischi legali. Ma si accaparrano banner pubblicitari sui siti internet
più famosi, alla stregua delle compagnie multimilionarie.  
Assunto che il governo cinese non si pone neppure il problema, le compagnie
produttrici di videogame sono intervenute prima che la legge: dal 2007
a seguito delle pressioni ricevute, Ebay ha messo al bando questo tipo
di scambi, e la Activision Blizzard ha cancellato circa cinquantamila
account attribuiti ai farmer solo nel 2006, cifra quadruplicata nel
primo semestre dell’anno corrente. Queste operazioni però servono
solamente a limitare le perdite di chi regge il mercato del gioco online.
Nel gioco Everquest di Sony Entertainment, gli stessi produttori hanno
aggiunto la possibilità di acquistare alcuni oggetti del gioco con
valuta virtuale.  D’ altronde anche se nella licenza e nella
sottoscrizione legale ad un gioco online è espressamente vietato questo
tipo pratiche, si può solo sospendere l’ account. Serve l’intervento
di una legislazione. 
 
Da quasi un anno gli USA cercano di creare ed applicare una tassa su
questo tipo di scambio valuta. In Australia sono stati presi provvedimenti
per regolamentarne il mercato. Altri paesi hanno risolto in maniera
drastica, come la Corea del Sud,rendendo illegale questo business. Intanto
la Cina, invece che rivolgersi verso i lavoratori ed i loro interessi,
ha dichiarato di voler lavorare ad un disegno di legge che “ delimiti
la proprietà virtuale, anche di valuta prodotta” al fine di rendere
tutto monopolio di stato. L’ Europa (40% del mercato dell’ oro virtuale)
sembra non preoccuparsi affatto del fenomeno. 
Tra il popolo dei videogiocatori che si divide tra chi odia i farmer
e chi compra la valuta virtuale, tra case produttrici che denunciano
il problema ed i governi impreparati o purtroppo assenti, il fenomeno
del gold farming, del real money trading con tutti i relativi strascichi
prosegue in tutto il mondo. Silenziosamente, senza nuocere in apparenza,
una nuova frontiera di profitti informatici, come in altre occasioni
ciclicamente emerse in passato, ha bisogno di una vera e propria regolamentazione
internazionale, così come una interna e locale per ogni tipo di attività
nascenti. 
Sperando che i governi e gli organi di controllo internazionali, già
in ritardo rispetto al fenomeno, arrivino presto ad occuparsi del problema
ad un livello normativo.

Link e fonti

PRINCIPALI 
 
http://www.chinesegoldfarmers.com/  
Sito del progetto e documentario 
 
http://www.nytimes.com/2007/06/17/magazine/17lootfarmers-t.html 
Articolo del New York Times, giugno 2007 
 
 
SECONDARI 
 
http://en.wikipedia.org/wiki/Gold_farming 
pagina di Wikipedia sul fenomeno 
 
http://www.mtv.com/videos/news/120059/is-mining-virtual-gold-exploitative.jhtml#id=1545907  
Servizio realizzato da MTV sul Gold Farming,  con intervista a
Ge Jin ed i vertici di IGE 
 
http://www.marketwatch.com/tools/quotes/financials.asp?symb=atvi&sid=3278428&report=2&freq=1  
Bilancio (pubblico) Activision Blizzard Entertainment

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