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Nei pizzini di Setola, il racconto di un «sistema»

Di Daniela De Crescenzo il . Campania, Dai territori

Hanno
pagato il pizzo agli assassini del padre: un episodio inquietante che coinvolge
il sindaco di Calvizzano, Giuseppe Granata, emerge dal racconto di Oreste
Spagnuolo, killer pentito agli ordini di Giuseppe Setola, la primula rossa dei
casalesi che per cinque mesi ha messo a ferro e fuoco mezza Campania.
 
Dice Spagnuolo: «Di seguito all’omicidio di Granata tutti i lidi pagarono e fu
delegato Carlo Di Raffaele della raccolta del denaro. Dopo circa una decina di
giorni dall’omicidio, i figli del defunto Raffaele contattarono prima una terza
persona, la quale a sua volta contattò un tale “Peppe a Braciola” il
quale a sua volta arrivò a Bernardino Terracciano, una persona a noi vicina.
Questi ci contattò tramite Antonio Alluce facendoci sapere che erano disposti a
pagare. Cosa che fecero versando, attraverso “Peppe Braciola” 
10 mila euro. Questi ci portò direttamente la somma, consegnandola ad
Alessandro Cirilllo, me presente».

Il racconto, spiegano i pm della Dda di
Napoli coordinati dal procuratore aggiunto Franco Roberti, trova riscontro tra
i pizzini di Setola trovati nelle villette di Quarto, un paesino del
napoletano, dove sono stati arrestati il 30 settembre lo stesso Spagnuolo con i
complici Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. Su un foglietto Setola aveva
annotato: «Lido avvocato 15». E il figlio di Raffaele Granata è, appunto, un
avvocato.

Molto altro dice Spagnuolo, e molto altro emerge da pizzini e quaderni dove
veniva annotata la contabilità del
gruppo capeggiato da Giuseppe Setola su mandato di Francesco
Bidognetti, uno dei capi storici dei casalesi in galera dal 1993. Sotto la
dizione «nuovi» sono elencati 31 esercizi commerciali. Gli asterischi
contrassegnano quelli che si sono già «messi a posto». Un altro elenco
comprende, poi, 23 imprese: accanto a ogni impresa ci sono le cifre pagate e da
pagare con scandenze periodiche.
Spiega Spagnuolo: «La cassa era gestita direttamente dal Setola e ammontava
mediamente a 90 mila euro al mese, subendo le variazioni legate alle
contingenze». Dell’organizzazione fanno parte dipendenti fissi e collaboratori
part time.

Condannato all’ergastolo per omicidio, accusato di un altro delitto e di
numerose estorsioni, Giuseppe Setola era evaso ad aprile del 2008 dal centro
clinico dove era stato ricoverato per un intervento chirurgico a un occhio.
Un’evasione facilitata dalla decisione del giudice di sorveglianza di Pavia
che, sulla scorta di una perizia collegiale, aveva ritenuto le sue condizioni
di salute non compatibili con il regime carcerario. Così «’o cecato», come
viene chiamato dagli uomini del clan, nella clinica era agli arresti
domiciliari e dunque non piantonato. Ora spiega Spagnuolo: «Dopo l’evasione il
clan si strinse attorno al Setola e furono da questi scelti Alessandro Cirillo,
Giovanni Letizia e io; la scelta su di me cadde perché anche io ero latitante
come Letizia e Cirillo e trascorrevo la latitanza insieme al Letizia.
Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto, ma ovviamente avevamo una rete
di persone che agivano per noi, una dozzina di persone. Alcuni di questi erano
affiliati – stipendiati per poco meno di 2 mila euro al mese – e altri erano
semplicemente a disposizione traendo profitto ed essendo legati al capo per
amicizia e timore».

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