Blitz antimafia nel trapanese, 21 indagati
Undici misure cautelari, tra queste ci sono quelle destinate a 9 persone, tra i quali i soggetti già condannati per mafia Diego e Ignazio Melodia, noti capi cosca alcamesi, e poi una giovane avvocato palermitana Francesca Adamo, raggiunti da ordine di cattura e dunque custodia cautelare; inoltre due professionisti, un infermiere e consigliere provinciale Udc, Pietro Pellerito, e un medico, Arcangelo Calandra, sono risultati destinatari rispettivamente da divieto di dimora e obbligo di firma. Ed ancora, 10 avvisi di garanzia, uno dei quali notificato per associazione mafiosa all’ex sindaco Vito Turano, padre dell’attuale presidente della Provincia on. Girolamo Turano. Ci sono anche il sequestro di un impianto di produzione di calcestruzzo, la «Medicementi», valore 1 milione di euro, la scoperta di una serie di danneggiamenti e di estorsioni non denunciate, come quella che avrebbe subito la Celi di Santa Ninfa per l’appalto della rete fognante di Alcamo (avrebbe pagato 200 mila euro), nonchè è stato accertato un finto attentato, quello che pochi mesi addietro fu denunziato dall’imprenditore del «cemento» Liborio Pirrone, anche lui tra i soggetti finiti in manette e per i quali è scattata la custodia cautelare in carcere.
Questa la sintesi dell’operazione antimafia che è stata condotta nella notte scorsa tra Alcamo e Palermo. In maniera congiunta hanno operato Polizia e Carabinieri. Gli agenti del commissario Valerio Aquila e i militari del capitano Augusto Ruggeri hanno notificato i provvedimenti emessi dal gip Roberto Conti su richiesta del sostituto procuratore della Dda di Palermo, pm Paolo Guido. In un unico faldone sono finite le operazioni «Abele» (Commissariato) e «Cemento Libero» (Carabinieri) che offrono insieme lo spaccato più recente e attuale dell’organizzazione mafiosa nel versante alcamese del trapanese, considerato che l’inchiesta affronta il triennio tra il 2005 e il 2008. Il tema conducente è il controllo del mercato del cemento e degli appalti pubblici, i rapporti con la politica, ancora una volta si è scoperto un imprenditore che diventa boss per condizionare il mercato e far fuori la concorrenza a suo favore, si è anche accertato il caso del controllo di un’azienda che sebbene confiscata, la Sudscavi, sarebbe rimasta nella disponibilità della locale «cupola».
Tra le pagine scritte in parte e non del tutto chiarite c’è anche quella relativa al gravissimo danneggiamento che l’anno scorso colpì l’azienda di produzione di cemento Celso di Balata di Baida. Ed inoltre i collegamenti con i capi mafia. Alcamo è stata una zona anche sotto il
controllo dei boss Lo Piccolo, mentre si scopre che non era un fatto del tutto riservato a pochi uomini d’onore dove si nascondeva il capo dei capi Bernardo Provenzano. L’avvocato finita in manette, Francesca Adamo, ascoltata dagli investigatori in una intercettazione, ne parla come se ne avesse precisa conoscenza, così come strabilianti risultano essere i suoi giudizi, sempre finiti intercettati, sui latitanti Matteo Messina Denaro e Mimmo Raccuglia, quelli, dice, «sono belli picciotti».
Cosa emerge dall’indagine. Che la mafia non si è arresa ma dimostra di continuare a tenere sotto controllo il territorio e questo grazie a complicità garantite da soggetti che sebbene non affiliati contattati avrebbero mostrato piena disponibilità a venire incontro alle esigenze dei boss. Così avrebbe fatto l’avv. Francesca Adamo che avrebbe individuato le persone a cui intestare beni in modo fittizio per coprire la presenza dei mafiosi, o ancora il consigliere provinciale Pellerito che con la complicità di un medico avrebbe fatto sparire il referto medico di un incidente sul lavoro che riguardava un operaio assunto in nero nell’azienda di Liborio Pirrone.
Diritto di cronaca, dovere di rettifica
Era stata arrestata, condannata in secondo grado e sottoposta ad un procedimento disciplinare dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo. Nel giugno 2013 è arrivata l’assoluzione piena per l’avvocatessa Francesca Adamo, 49 anni, accusata di intestazione fittizia di beni. Non ha retto al vaglio dei giudici la ricostruzione degli investigatori, secondo cui la professionista aveva indicato ad un mafioso il nome di un prestanome a cui intestare una società. Ricostruzione che era stata più volte bocciata dalla Cassazione. “Il fatto non sussiste” hanno stabilito i giudici della Corte d’appello di Palermo. Il processo era nato dall’operazione antimafia “Cemento libero” condotta dalla Squadra Mobile di Trapani nel 2008. La Adamo, difesa dall’avvocato Giuseppe Oddo, era stata condannata in secondo grado ad un anno e otto mesi di reclusione. Una condanna annullata con rinvio dalla Cassazione che aveva ordinato la celebrazione di un nuovo processo. Al termine del quale lo stesso procuratore generale, Luigi Patronaggio, ha chiesto l’assoluzione per l’imputata. Nello stesso processo la Corte ha ridotto da 3 anni e 8 mesi a 2 anni e 6 mesi di reclusione la pena per Vito Amato, assistito dall’avvocato Stefano Pellegrino. I giudici di appello hanno escluso l’aggravante dell’articolo 7 dall’accusa di tentata estorsione alla ditta Celi di Santa Ninfa. La sentenza ha riformato le condanne di altri tre imputati, riducendo le pene di qualche mese: Liborio Pirrone (associazione mafiosa ed estorsione), da 9 anni e 8 mesi a 9 anni e 4 mesi. Giorgio e Stefano Regina (estorsione), rispettivamente da 8 anni e 8 mesi a 8 anni e e 6 mesi e da 9 anni e 4 mesi a 9 anni ed un mese.
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