Mafie a Roma, l’appello di De Ficchy
“Basta allarmi, sono tra noi da anni”
Non è una novità:
da trent’anni le mafie risiedono nella Capitale, si infiltrano, investono
e riciclano. E ancora le zone grigie, i rapporti organici con certa
Politica e con il mondo delle professioni. Una Quinta mafia che mantiene
i legami con le famiglie di origine, ma si muove ormai con una certa
autonomia: le alleanze strategiche intercosche, gli accordi con le organizzazioni
straniere, gli affari con la borghesia autoctona. Eppure “continuano
a suonare campanelli d’allarme, ormai inutili”. L’attenzione si
desta dopo episodi eclatanti, come l’agguato in via Veneto, gli omicidi
e il blitz in piazza di Spagna, con i sigilli al ristorante “Alla
Rampa”. Si desta e poi svanisce. “Ma occorre prendere atto che le
mafie sono tra noi” dice il magistrato della Dna Luigi De Ficchy,
da decenni in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata
nel Lazio.
Procuratore, la
‘ndrangheta tenta il salto di qualità?
“Certo un sequestro
in pieno centro fa sempre rumore, ma non è certo una novità. Sono
anni che le indagini rivelano un certo interesse della criminalità
organizzata per le attività di ristorazione. Nulla di eccezionale”.
Ma in pieno centro…
“Ripeto, non
è una novità. Negli ultimi hanno sono stati individuati diversi esercizi
riconducibili alle famiglie mafiose, siciliane, calabresi e campane,
nel centro di Roma, in periferia e in tutta la regione. Ce ne sono stati
e ce ne saranno. Da trent’anni ci occupiamo di criminalità organizzata
nel Lazio: è un fenomeno radicato, una mafia che ha ormai delle peculiarità
proprie”.
Un ristorante di
classe, ben frequentato. E’ una coincidenza o rivela l’esistenza
di zone grigie?
“Del tutto casuale,
un ristorante del centro ha evidentemente una certa clientela. Certo,
che la mafia significi infiltrazioni e con il potere è comprovato.
Probabilmente si scopriranno nuove zone grigie, ma appunto non è una
novità”.
Il ristorante sequestrato
sarebbe riconducibile alle famiglie calabresi dei Pelle-Vottari, protagoniste
della sanguinosa faida di San Luca e della strage di Duisburg. C’è
un legame diretto tra gli affari romani e la guerra di ‘ndrangheta?
“Le cosche di
San Luca hanno una propensione agli investimenti nel settore della ristorazione
e turistico-alberghiero, come in generale tutte le ‘ndrine. Infiltrazioni
terentennali. Del resto, lo abbiamo visto, gli investimenti sono stati
massicci anche in Germania, a Duisburg e anche altrove. E continuando,
le cosche calabresi si sono fiondate nell’Est europeo subito dopo
la caduta del Muro di Berlino, comprando, investendo e riciclando. L’economia
di mezza Europa è stata infiltrata. Il fatto che siano presenti anche
a Roma ha una logica evidente. Ma non ci sono elementi per ricondurre
gli affari romani agli scontri tra le ‘ndrine di San Luca”.
Dunque, non c’è
allarme da far scattare, non c’è un’emergenza, ma un fenomeno strutturale
da fronteggiare. Politica e società civile sembrano lontani da questa
visione. Che fare?
“Dobbiamo dire
basta a questi improvvisi campanelli d’allarme, dobbiamo dire che
la mafia è a casa nostra da tanti anni. Bisogna combatterla ogni giorno,
non quando sequestriamo un ristorante chic. Si tratta solo di un anello
di una lunga catena di infiltrazioni, che procede in diversi posti e
in diversi modi. Sono tra noi, non facciamo suonare più i campanelli
d’allarme, ma alziamo finalmente la guardia. In maniera corretta”.
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