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Reportage siciliano

Di Pietro Nardiello il . Dai territori, Sicilia

Rilevo dalla mia agenda che
sono ben due gli anni di assenza dalla terra che fu di Peppino Impastato.
Eccola Palermo che in tanti considerano “capoluogo dimenticato da
una classe politica che sembra non voglia governarla”. Nell’agosto
del 2006  erano gli ex detenuti che avevano goduto dell’indulto
ad occupare la Cattedrale, giustamente chiedevano alle autorità un
reinserimento nel mondo del lavoro perché non avrebbero voluto ritornare
al collocamento della criminalità organizzata che senz’altro gli
avrebbe trovato in poche ore una “nuova” sistemazione. Adesso, invece,
a trovare asilo tra le mura sacre sono i senza tetto, un gruppo numeroso
di famiglie sgomberato da abitazioni che occupavano senza titolo. Sostengono
di cercare semplicemente “un riparo, un tetto e nulla più”.

“Palermo è piena di appartamenti
confiscati alla mafia –sottolinea Umberto Santino del Centro Impastato-
perché non procedere all’assegnazione di tali beni in favore di queste
famiglie?” Di tutti gli interventi registrati in queste ore questo
risulta essere senz’altro il più interessante una provocazione, però,
che da queste parti difficilmente potrebbe trovare proseliti.

A Palermo, insomma, la Cattedrale,
il maggior Tempio Cristiano rappresenta un simbolo che supera ogni aspettativa
di chi non conosce le vicende del luogo.

Il mio alloggio è in via Cusmano,
di fronte c’è un pensionato gestito da suore che apre le porte anche
alla cittadinanza soprattutto in estate per concedere l’utilizzo di
una piscina. Alle suore, però, non bastano cinque piani dove sono collocati
gli alloggi, hanno deciso di farne costruire ancora un altro. Gli agenti
dell’antiabusivismo della polizia giudiziaria, dopo svariate segnalazioni,
sono intervenuti  ponendo i sigilli che sono stati prontamente
rimossi dalla ditta esecutrice dei lavori. “A qualcuno – riferiscono
gli abitanti della zona- le suore hanno risposto di seguire solamente
la legge di Dio”. 

Qui a Palermo nessuno crede
che a Napoli e in Campania il governo Berlusconi abbia risolto l’emergenza
rifiuti, tutti mi chiedono di raccontare qualcosa in più. La gente
non crede a ciò che gli racconta un certo tipo di informazione anche
perché qui in Sicilia pare che ci si possa ritrovare da un momento
all’altro nella medesima ecatombe campana. Le cronache locali scrivono
di un incendio avvenuto in una discarica abusiva a Campobello, nella
Valle del Belice, dove “da una decina d’anni vengono indiscriminatamente
abbandonati rifiuti di ogni genere compresi quelli altamente inquinanti.”
Non è Napoli, non è Campania, ma i presupposti non sono del tutto
confortanti. Anzi questa terra, ed in particolar modo la città di Palermo,
continua ad intrattenere saldi rapporti con il capoluogo partenopeo.
Ad affermarlo sono le indagini portate a termini dalla sezione narcotici
della squadra mobile palermitana che ha sgominato una banda, dedita
al traffico di sostanze stupefacenti composta da 6 napoletani, cinque
palermitani, un bulgaro ed un algerino. 

Il quartiere Brancaccio mantiene
con Palermo una linea di confine “naturale”: un passaggio a livello
che segna una precisa demarcazione facendo de quartiere un’ “appendice
che differenzia le identità”. Gli abitanti del quartiere, infatti,
abitualmente dicono, quando si spostano, “di andare a Palermo”.
Nel quartiere che fu di Don Pino Puglisi le fogne sono insufficienti,
basta qualche pioggia per far comparire un fiumiciattolo di fango che
minaccia le abitazioni ubicate a fronte strada. Ognuno pensa per se
e ad allontanare il fango con delle scope. Tutte questa abitazioni,
che a  Napoli chiamano bassi, sono delle ex stalle o locali che
un tempo venivano adibite a deposito. Sono tutte abusive e nessuna di
esse può godere del certificato di abitabilità. Ma a soli pochi metri
dalle porte di ingresso si alza la polvere dei cantieri della metropolitana.
La modernità, sotto certi aspetti, sta per arrivare anche a Brancaccio. 

Il Centro di Accoglienza Padre
Nostro è stato fondato da Don Pino Puglisi nel gennaio del 1993 ed
oramai rappresenta un punto di riferimento insostituibile nelle attività
sociali di questo territorio tra le quali va evidenziata quella svolta
nell’ambito delle “Case famiglia” dove trovano ospitalità le
donne che denunciano maltrattamenti subiti nell’ambito familiare o
ragazzi le cui famiglie non possono più badare alle proprie esigenze.
Un’attività coraggiosa svolta in un territorio difficile e spesso
ostile agli operatori del Centro: “Più di una volta –mi riferiscono-
abbiamo trovato tantissimo sterco nel campetto di calcio e poi in pieno
giorno, approfittando della nostra momentanea assenza, eressero dinanzi
alla porta d’ingresso un muretto alto cinquanta centimetri circa lasciando
sul posto gli attrezzi adoperati insieme ad alcuni chiodi che fuoriuscivano
dal cemento”. In piazza Anita Garibaldi, dove don Pino abitava e dove
venne barbaramente assassinato, il monumento che ne ricorda l’uccisione
è abbandonato a se stesso, non curato e offeso dai graffitari mentre
alcune fioriere sono state divelte. Anche la poesia di Mario Luzi risulta
illeggibile. Il luogo esatto dove  Don Pino cadde sul selciato
non è indicato un’autovettura ne offende la sacralità.

Il direttivo del centro Padre
Nostro chiese di fare della casa di Don Pino un luogo della memoria
ma l’abitazione è stata venduta e anche la richiesta fatta alle autorità
palermitane, “che qui a Brancaccio vengono solo per la commemorazione
annuale del sacerdote”,   di fare di questa piazzetta una piccola
isola pedonale è stata dimenticata in fretta.

La casa del primo pentito di
mafia Leonardo Vitale, che sua sorella Maria, entrata in monastero,
ha donato ai frati minori conventuali di Palermo, diventerà un centro
per la formazione spirituale e la prevenzione della devianza giovanile.

Alcuni occhi ci spiano dalle
finestre e chissà che non si tratti degli stessi che videro Don Pino
agonizzante sul selciato.   
 

Pino Maniaci è un giornalista
che sporca le sue scarpe non solo per rincorrere la notizia, per fare
lo scoop come si suole dire, ma è uno di quelli che ancora crede nella
corretta informazione. Un tipo tosto, uno che unisce i fatti alla morale,
uno che non indietreggia mai. La sua piccola tv, Telejato, trasmette
dagli studi, tre stanze, siti in Partinico un piccolo paese siciliano
ad alta densità mafiosa. La Tv è a conduzione familiare insieme a
lui vi è la moglie ed i suoi figli insieme a tre collaboratori.

Pino ha pagato sulla propria
pelle lo scotto di questa sua professionalità. L’ultima aggressione
l’ha subita qualche mese fa quando è stato picchiato mentre percorreva
le strade del paese. Da allora è nata una campagna di solidarietà
chiamata “Siamo tutti Maniaci”, chi vuole può andare negli studi
di Telejato e leggere il tg in sostituzione di Pino. Ma la giornata
è tutt’altro che statica. Pino è appena rientrato da Bologna, agli
stati generali dell’informazione, dove gli hanno consegnato un premio
per il suo impegno professionale. Lo hanno indicato come esempio da
seguire nel settore della comunicazione e lui invece ha così licenziato
la platea e gli organizzatori: “Se la mia attività quotidiana dev’essere
un esempio da seguire allora lo stato della comunicazione in questo
Paese è in una fase comatosa”. Parole profetiche visto il quasi totale
silenzio che ha contraddistinto l’informazione, se si esclude un approfondimento
di Salvo Palazzolo dalle colonne di Repubblica, a seguito di una lettera
pubblicata dal quotidiano “La Sicilia” e firmata da Vincenzo Santapaola
che al momento è sottoposto al regime carcerario regolato dall’art.
41 bis.

Con noi c’è anche un troupe
francese, qui in Sicilia per realizzare un format per la tv del proprio
Paese. Nonostante vi siano anche due tecnici italiani la loro meraviglia
non trova sollievo, sembrano visitatori di un giardino zoologico.

A Partinico non si va solo
per leggere il tg a Telejato perché senz’accorgersene ci si ritrova
inviati sul territorio insieme a Pino. Questa volta è stato installato
un ripetitore telefonico alimentato da un generatore a gasolio, in barba
a tutti i regolamenti, a meno di trecento metri  dalle abitazioni
del centro abitato. L’artista Gaetano Porcasi vi appone uno striscione
dove si legge: “Si muore, Partinico, si muore”. Nessuna protesta,
anche dal circolo locale di Legambiente nessuna segnalazione. 

Le voci che si levano contro
la piovra mafia, che oramai anche qui in Sicilia ha levato la coppola
e ha indossato l’abito blu e camicia con colletto bianco, anche dal
mondo dell’associzionismo, sono tante ma un po tutte impegnate a seguire
il proprio cammino.

Chi denuncia il racket si sente
solo anche se l’impegno delle forze dell’ordine sembra costante.
Proprio in questi giorni sono stati effettuati cinque arresti nel siracusano
tutti, riferiscono gli inquirenti, appartenenti della cosca Nardo. Nonostante
questo continuo impegno delle forze dell’ordine gli imprenditori 
chiedono, definitivamente una presenza sostanziale dello Stato. Non
è caso che negli ultimi sei mesi si sono registrate solamente 22 denunce
di estorsione. Va comunque ricordato che a tre anni dalla sua denuncia
Vincenzo Conticello, titolare del’antica focacceria San Francesco
di Palermo, non ha ricevuto ancora un euro di indennizzo. 

Segnali inquietanti come quelle
cisterne azzurre presenti in tutte le abitazioni: a Palermo l’acqua
non è sempre corrente e per questo bisogna attrezzarsi per sopperire
ad ogni esigenza. Ad Agrigento, invece, oltre questa ormai consolidata
“emergenza”, si registra la bolletta più cara d’Italia 
per usufruire di questo servizio.

Palermo affoga nel caos di
un traffico rumoroso e disordinato, è sera e a via Notarbartolo anche
l’albero di Falcone, quello dove il giudice assassinato dalla mafia
abitava, appare un corpo estraneo mentre la piccola guardiola utilizzata
dalla vigilanza sembra uno scheletro di una fabbrica dismessa, un manufatto
troppo ingombrante per i passanti.

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