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Saviani

Di Riccardo Orioles il . Campania, Dai territori, Sicilia

Anche oggi
Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n’è andato in cerca
di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet
a quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di
cui finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo
solo i poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative
inchieste. Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una
decina d’anni. Ha perso, per farle, la collaborazione all’Ansa, la possibilità
di uno stipendio qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore:
anche qui, difatti, l’hanno licenziato in quanto “giornalista pacifista”.
Marco non ha paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali)
ed è contento di quel che fa. 

Anche oggi
Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro numero
della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici
del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia.
Se ne parla in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro
sono riusciti a mettere su una redazione, a organizzare non solo il
giornale ma anche un buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano
niente e i mafiosi del quartiere hanno già fatto assalire una volta
una sede. Max non ha paura, almeno non ufficialmente, ed è contento
di quel che fa. 

Anche oggi
Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono a qualche
chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e contiene
tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci
guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate)
ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa. 

Anche oggi
Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il suo giornale,
Napoli Monitor, esce da un po’ più di due anni e dice le cose che i
giornalisti grossi non hanno voglia di dire. E’ da quando è ragazzo
(ha iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla,
manco il caso di dirlo, e non è un momento facile da attraversare.
Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa. 

Ho messo i
primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e Antonella
di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per quell’inchiesta
sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per vivere,
ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato
di Antonio, a Bologna? Vent’anni sono passati, da quando gli puntarono
la pistola in faccia per via di quell’inchiesta sui clan Vassallo e
gli affitti delle scuole. Eppure non ha cambiato idea. E Graziella?
E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E… Vabbè, lasciamo andare. Mi sembra
che un’idea ve la siate fatta. C’è tutta una serie, in Italia, di piccoli
giornali e siti, coi loro – seri e professionali – redattori. Ogni tanto
ne fanno fuori qualcuno, o lo minacciano platealmente; e allora se ne
parla un po’. Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente
e soli, senza che a nessuno importi affatto – fra giornalisti “alti”
e politici – se sono vivi o no. Eppure, almeno nel settore dell’antimafia,
il novanta per cento delle notizie reali viene da loro. 

Saviano è
uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima su
un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia
s’interessava davvero, se l’è cagati. Poi è successa una cosa ottima,
cioè che l’industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto
di metterci) le mani sopra. Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato
carissimo, per lui. Ma ne è derivato soprattutto che – poiché l’industria
culturale è stupida: vorrebbe creare personaggi mediatici, da digerire,
e finisce per mettere in circolo contenuti “sovversivi” –
un sacco di gente ha potuto farsi delle idee chiarissime sulla vera
realtà della camorra, che è un’imprenditoria un po’ più armata delle
altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata, vincente. 

Ci sono tre
cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti, dobbiamo a Saviano.
Una, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra non è la degenerazione
di qualcosa ma la cosa in sè, il “sistema”. Due, che il lato
vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre,
che lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è
solo la notizia classica, ma anche la sua narrazione “alta”,
“culturale”; non solo “giornalismo” ma anche, e
contemporaneamente, “letteratura”. (Quante virgolette bisogna
usare in questa fase fondante, primordiale: fra una decina d’anni non
occorreranno più). Dove “letteratura” non è l’abbellimento
laterale e tutto sommato folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della
stessa notizia che si fa militanza. 

Nessuna di
queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di “sistema”,
anziché di semplice (folkloristica) “camorra” è stato espresso
contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio Nazzaro
(non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e forse
prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli. L’aspetto fortemente etico-personale
della lotta non alla “mafia” ma al complessivo sistema mafioso
è egemone già nelle lotte degli studenti (siciliani ma non solo) dei
tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e “letteratura”,
che è forse l’aspetto più “scandaloso” (e che più scandalizza;
e non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe
Fava, e nella sua scuola. 

Le “scoperte”
di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo essere
umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco, nell’estraneità
e indifferenza dell’industria culturale, in tutta una filiera di giovani
cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha
saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la “fortuna”
di incontrare, esattamente nel momento-chiave, anche l’industria culturale.
Che tuttavia non l’ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata
anzi (grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell’humus
da cui vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa. 

Questa è la
nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco o dei Veltroni,
benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e promuovano
(in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli intellettuali
organici, dei militanti (“siamo” qui ha un senso profondissimo,
di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro
cui sta accudendo lui. Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo,
e sappiamo che in essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto
che da se stesso. Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di
questo orrendo “sistema” e avrà l’orgoglio di avervi contribuito:
non – poveramente – da solo ma volando alto e insieme, con le più forti
anime di tutta una generazione.

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