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“Sì ai tagli, ma paghino i grandi editori”
L’appello di Polo per il pluralismo

Di Alessio Magro il . Interviste e persone

Tira una brutta aria nella redazione del manifesto, quotidiano comunista da più di trent’anni in edicola. I guai finanziari sono di casa, ma la testata fondata da Luigi Pintor ha sempre gettato il cuore oltre l’ostacolo, grazie a un “editore diffuso”, quello dei lettori. Adesso serve chiarezza per immaginare il futuro: quali contributi pubblici e con quale grado di certezza? “Vogliamo il ripristino del diritto soggettivo ai contributi, senza il quale le banche non ci apriranno più la porta” dice il direttore Gabriele Polo. Ma prima bisogna coprire i soldi già spesi e che lo Stato forse non coprirà più, già da quest’anno. Una corsa contro il tempo. Arrivare in ritardo significherebbe ammainare le penne. Al manifesto come nelle altre testate del terzo settore, dei partiti e delle cooperative.

Direttore, il manifesto ha lanciato una serie di proposte alternative riguardo i tagli all’editoria. Che senso ha il mettere l’accento sul “quello che si può fare”?
“E’ un modo per dimostrare che quella del governo è una manovra ad arte, “un si deve fare” motivato dalla crisi economica generale, ma non giustificato dalla realtà. Si vogliono tagliare i fondi all’editoria per ridurre la spesa pubblica. Bene. Ma conta il come. Noi dimostriamo che è possibile fare in altro modo”.

E come, appunto?
“La nostra proposta rilancia l’idea di un fondo speciale di solidarietà. Vogliamo che si intervenga sul mercato. Chiediamo che si recuperi l’iva  sull’oggettistica allegata prodotti editoriali: con un escamotage si applica il 4 invece del 20%. E quello che è un contributo all’editoria viene dirottato altrove. Si tagli. Chiediamo ancora che le tv analogiche versino un surplus per le concessioni governative dei canali”.

Si potrebbe obbiettare che finte cooperative, giornali fantasma e quant’altro continuerebbero a succhiare fondi.
“E’ proprio li che si deve tagliare, senza pietà. Ecco, serve una legge che riordini il settore, i tagli chirurgici e il fondo di riequilibrio. Con un criterio ferreo:  basta alle testate di movimenti politici inesistenti, alle cooperative con soci fittizi, a trucchi e inganni vari”.

Resta il clima da caccia alle streghe, l’associare la categoria di sostegni statali a quella di sprechi.
“E’ la logica del liberismo, che tra l’altro mostra crepe preoccupanti in questi giorni. Una lunga campagna culturale ha fatto passare un principio: è come e avesse lo stesso valore sostenere una fabbrica di cioccolatini piuttosto che l’editoria, i trasporti e le attività che riguardano i beni pubblici, come l’acqua. Si privatizza tutto, senza distinguo. Noi restiamo dell’idea che lo Stato ha il dovere di intervenire nei settori strategici”.

E che ne sarà dell’informazione?
“Un’informazione privatizzata porterà all’imbarbarimento del Paese. E il restringersi dell’offerta di informazione porterà anche ad un abbassamento della media culturale del Paese, parlo dell’impoverimento della cultura comune, diffusa. Per questo diciamo: lo Stato garantisca la vita della stampa minore, patrimonio di pluralismo e democrazia, si evitino i tagli a pioggia, si evitino i tagli indiscriminati. Ne va della tenuta democratica del Paese”.

Ne va anche della Costituzione della Repubblica, a quanto pare.
“Il costituzionalista Pace ci dà ragione. Parla di incostituzionalità, di principio di uguaglianza violato perché si tagliano i contributi diretti e non quelli indiretti. Ma parla anche di conflitto d’interesse del presidente del consiglio, per noti motivi”.

Infine, che fare?
“Provarci.  Ci sono voci di dissenso, dal centrosinistra, dal presidente Napolitano. C’è una certa tensione, si prova a cambiare la legge, non sarà facile. Di certo, senza modifiche saremo costretti a chiudere, noi come gli altri. Abbiamo chiamato a raccolta i nostri lettori con una sottoscrizione, risponderanno come sempre. E faremo una battaglia politica e civile. Forse l’ultima, ma la faremo”.

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