Trapani, dove c’è chi dice che la mafia non esiste
La mafia che a Trapani
secondo alcuni non esiste invece c’è. E non lo dice un semplice
cronista di provincia, ma lo sostiene la commissione nazionale
antimafia che ha operato nella scorsa legislatura e che prima dello
scioglimento del Parlamento ha rassegnato le sue conclusioni in
generale sul lavoro svolto. Ma lo potrebbero raccontare ancora altri,
i familiari di chi è stato ucciso dalla mafia a Trapani, gli
imprenditori che si sono visti sottrarre ogni potere di agire,
amministratori che hanno visto qualcuno andare a battere pugni sulle
loro scrivanie.
Il capitolo riguardante
Trapani è inserito tra le 100 pagine edite dalla Commissione
Nazionale Antimafia dove è racchiuso il quadro d’insieme sul grado
di infiltrazione della mafia nel tessuto siciliano e nazionale. Una
relazione presentata alla vigilia dello scioglimento del Parlamento
dall’allora presidente Francesco Forgione e che tratteggia in modo
marcato la struttura della più attuale Cosa Nostra, quella che viene
indicata da tutti come la cosidetta «mafia sommersa». E in questa
strategia di “sommersione” Trapani è posta al centro,
sotto i riflettori.
Cosa dicono i commissari
dell’antimafia nazionale? Che nella zona del trapanese Cosa Nostra
ha chiuso il cerchio e completato la fase di intromissione nel
tessuto sociale ed imprenditoriale: in tal senso ci sono gli elementi
forniti da investigatori e inquirenti ma anche le testimonianze di
alcuni imprenditori.
Cosa emerge? A Trapani ha
preso piede il predominio di quel livello mafioso «dove non ci sono
per forza “punciuti”, ma soggetti comunque in grado di
gestire grandi risorse». Insomma, il “terzo livello” degli
«uomini d’onore», dove restano in auge i vecchi “consigliori”
e a disposizione i gruppi di fuoco però è come se fossero stati
invitati a non esporsi e l’ordine in tal senso è giunto dal super
boss latitante Matteo Messina Denaro che non solo è il capo della
mafia trapanese ma riesce ad influenzare parte delle cosche di
Agrigento, ha contatti diretti col Sudamerica – e questo significa
potere gestire “affari” del narcotraffico – e riesce ad
essere fortemente impegnato nel narcotraffico, ed ha ripreso i
contatti con le “famiglie” americane.
Quale rispetto a questo la
reazione del fronte avverso? Abbiamo le risposte di chi sostiene che
la mafia non esiste, anzi spiegano meglio: ci sono i mafiosi ma non
più l’organizzazione, e che questi “quattro” mafiosi non
sono più in grado di influenzare le forme di potere statale,
istituzionale ed economico.
Cosa dire rispetto a ciò?
Che la «rivoluzione» che si coglie in diverse parti della Sicilia
ancora vede, per dirla con le affermazioni dell’Antimafia nazionale,
la provincia di Trapani assente.
Non bastano a convincere
le conclusioni dell’antimafia nazionale? Ecco allora quelle del
capo della Direzione Nazionale Antimafia Pietro Grasso. In una
recente relazione dice che dalle indagini condotte continua ad
emergere la presenza di Cosa Nostra, in particolare nella fase di
esecuzione dei lavori e non soltanto con la ben nota pressione
estorsiva: «Può infatti legittimamente affermarsi che soggetti
appartenenti o vicini all’organizzazione partecipano ad attività di
turbativa del pubblico incanto, intervenendo pesantemente addirittura
sulle stazioni appaltanti. Il territorio rimane ancora oggi
rigidamente suddiviso in zone e i responsabili di ciascuna area
territoriale pretendono la cosidetta «messa a posto»;
«l’imprenditore sa sempre a chi deve rivolgersi, chi contattare».
La faccenda di negare la
mafia e ciò che succede, da parte di alcuni soggetti è stato preso
in considerazione dall’antimafia nazionale e spiegato in questo
modo, non è paura, ma connivenza, indicare la presenza mafiosa
significa svelare gli intrecci, le complicità che stanno nelle
stanze del potere politico, istituzionale ed economico: «Il fatto
grave è quello che si faccia finta di non assistere ad uno
stravolgimento delle regole di mercato. Il quadro delineato è quello
di un’organizzazione criminale che concretamente soffoca l’economia
ed elide la libertà di mercato. Cosa Nostra ha la conoscenza piena
delle fasi che concorrono all’aggiudicazione delle opere pubbliche
fin dalla fase di gestione dei pubblici flussi finanziari». Il
sistema è articolato: «Cosa Nostra può contare su un valido
referente in ogni ente potenzialmente interessato da appalti, con la
certezza di poterne orientare senza sorprese gli esiti».
Il boss latitante Matteo
Messina Denaro oggi resta il capo incontrastato della mafia della
provincia di Trapani, ma è divenuto il punto di riferimento del
mandamento palermitano di Brancaccio che come «organizzazione»
(criminale) assomiglia molto a quella che il capo mafia belicino ha
dato ai suoi più diretti «mandamenti», quelli di Trapani,
Castelvetrano, Alcamo e Mazara; quelli cioè dove l’attività mafiosa
è diventata sostanzialmente imprenditoriale, in grado di agire, con
grandi capacità di camuffamento, e contando sempre su una utile,
spesso idiota, incredulità «della maggior parte del tessuto
sociale», nei settori dell’economia e quindi, per la ricchezza di
risorse, di interloquire con la politica.
Messina Denaro comanda nel
palermitano anche per i legami «familiari»: Brancaccio è il
«famoso» rione, come hanno recentemente documentato due docu-film
trasmessi da Rai Tre, che è sotto il controllo della famiglia
Guttadauro; Filippo Guttadauro è cognato del boss latitante,
avendone sposato la sorella, Filippo è quel «n. 121» indicato nei
«pizzini» sequestrati nel «covo» di Montagna dei Cavalli di
Corleone dove l’11 aprile del 2006 la squadra Mobile di Palermo
guidata da Giuseppe Gualtieri, oggi questore a Trapani, scovò quello
che era per tutti il «fantasma», don «Binnu» Provenzano.
Matteo Messina Denaro ha
creato due strutture parallele. «Nella prima ci sarebbero
imprenditori apparentemente puliti attraverso i quali il boss
intrattiene collegamenti con i politici e quindi controlla gli
appalti; nell’altra vi sono i boss e la manovalanza mafiosa».
L’attacco contro queste realtà è continuo nonostante c’è chi
dica che la “mafia a Trapani non esiste”.
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