Così il sindaco dei Piromalli
chiese aiuto ai Laganà-Fortugno
Uno strano regalo, per il terzo mesto anniversario dell’uccisione di Franco Fortugno a Palazzo Nieddu del Rio.
Infatti proprio mentre suona come ormai ogni anno dal 2005 una sorta di rintocco-a-morto la visita della delegazione calabrese a New York per il Columbus Day – quello in cui 3 anni fa l’allora vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria conobbe il Governatore (d’origine calabrese) Joe Manchin III poi destinato a suggellare un solenne Patto d’amicizia con questo sfortunato scampolo di Sud –, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio ha messo a segno i pesantissimi arresti nella Piana.
E nell’ambito delle quasi 400 gravose pagine dell’ordinanza di custodia cautelare ai danni – tra gli altri – dell’ex sindaco di Gioia Tauro Giorgio Dal Torrione (Udc) e del primo cittadino di Rosarno Carlo Martelli (Forza Italia, partito in cui lo stesso Dal Torrione militò a lungo, con ruoli di responsabilità come quello di capogruppo alla Provincia) viene fuori un punto interrogativo. Che si piazza sul comportamento di Fabio Laganà: che altro non è che il fratello del deputato piddino Maria Grazia Laganà, vedova Fortugno ed ex componente della Commissione parlamentare antimafia e – dunque – cognato di Franco Fortugno.
Ma un po’ più di un “semplice” cognato: parliamo del giovane politico emergente della Margherita che fu, quella di Franco Marini però!, al tempo in cui la Calabria diellina era spaccata in due come una mela: da una parte chi stava con Fortugno il mancato assessore regionale alla Sanità e dunque con l’ex presidente del Senato, dall’altra chi stava con Demetrio Naccari Carlizzi l’attuale assessore regionale al Bilancio e in buona sostanza con l’ex vicepremier.
E però parliamo anche del componente della struttura speciale del presidente del Consiglio regionale Peppe Bova, certo uno degli “aghi della bilancia” della politica calabrese: il fautore della corrente “A testa alta per la Calabria” che fece sfracelli il 14 ottobre 2007 alle Primarie per la Costituente regionale del Pd; l’uomo “in più” dei dalemiani calabresi di Red proprio mentre il rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e l’ex viceministro all’Interno Marco Minniti non è più fulgido com’era un tempo; il probabile candidato alla presidenza della Giunta per le Regionali 2010, quantomeno in sede di eventuali Primarie nelle quali contendere la “nomination” all’uscente Agazio Loiero («In Consiglio regionale la prossima legislatura non ci sarò, sento che il mio percorso deve cambiare» ha avuto modo di dire Bova).
Be’, alle 10.40 del 21 febbraio scorso Dal Torrione è un uomo seriamente malato, come oggi. E un politico sotto inchiesta, come oggi. Ha davanti a sé giusto un paio di mesi di sindacatura: il 22 aprile, in piena prorogatio, il governo Prodi (di cui Minniti era viceministro all’Interno) scioglierà il Comune di Gioia Tauro per infiltrazioni mafiose.
Alle 10,40 di quel 21 febbraio l’allora primo cittadino gioiese sente squillare il telefonino e risponde: dall’altra parte c’è “Fabio” (come l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari identifica il giovane Laganà). E “Fabio” fornisce al politico udiccino una preziosa informazione riservata: l’accesso antimafia agli atti del Comune da parte della Commissione tarderà ancòra, per effetto di alcuni giorni di proroga «anche se non sa per quanti altri giorni» si legge nella sintesi riprodotta nell’ordinanza; avvisa Dal Torrione che «bisogna stare con gli occhi aperti»; sottolinea al sindaco di Gioia che «comunque è un dato positivo, altrimenti avrebbero già chiuso il discorso» («segno evidente – scriverà poi il gip – del fatto che ben sa come tale risultato fosse particolarmente desiderato dal Dal Torrione»). Mentre l’amministratore, dal canto suo, commenta: «…Se no, ci avrebbero fatto il culo a cappello di prete! »; e se questa chiosa, secondo il giudice per le indagini preliminari, è sufficientemente esplicativa di «come egli sia ben a conoscenza di tutti i motivi esistenti» per un simile operato da parte della Commissione d’accesso, d’altro canto la dilazione gli consente «di mettere a posto le cose nei limiti del possibile».
Ma per la verità, l’ordinanza dice anche altro.
Dice che Giorgio Dal Torrione, fiutando che il canale era (chissà perché) quello giusto, ha poi tentato (28 febbraio, telefonata al suo ex assessore Nicola Zagarella – già membro della segreteria politica di Franco Fortugno – che assicura al sindaco che la parlamentare «lo chiamerà per mettersi d’accordo dove si dovranno incontrare» a Roma; 7 minuti dopo, stesso giorno, telefonata a Dal Torrione da parte di Fabio Laganà, che riferisce «che lei ha il telefono spento, appena lui (Fabio, ndc) riuscirà a rintracciarla farà chiamare Giorgio»; e alla fine, circa tre ore dopo, stesso giorno, telefonata ancora del fratello della Laganà per comunicare al primo cittadino di Gioia Tauro che la sorella parlamentare lo attende in via Pozzetto.
Che dire?
Il primo “question mark” si piazza sul motivo – apparentemente incomprensibile – per il quale dovrebbero conversare in modo così accorato, e nel merito scambiandosi peraltro informazioni riservate, due esponenti politici di partiti (e schieramenti) assai distanti; almeno all’epoca delle telefonate intercettate…
Il secondo punto di domanda grava sull’opportunità che il cognato di un vicepresidente del Consiglio regionale assassinato dalla ‘ndrangheta intrattenga questo tipo di rapporti con un amministratore ormai palesemente indagato per reati di mafia (e che a margine di ciò, un mese prima, aveva azzerato il suo esecutivo).
Adesso i pm potrebbero chiamare Fabio Laganà a testimoniare in relazione alla posizione dello stesso Giorgio Dal Torrione.
Ma c’è chi ha fatto di più. Indignato l’ex vicepresidente dell’Antimafia Peppino Lumìa (Pd): «La politica non può vere relazioni ambigue, né tantomeno può averle Fabio Laganà che ha avuto nella propria famiglia un delitto grave». Sicché, per il politico palermitano, c’è da auspicare «che Fabio Laganà venga allontanato da qualunque attività politica fino a quando non sarà chiarito il suo ruolo in questa vicenda».
Mentre l’ex ministro di An Maurizio Gasparri – oggi capogruppo pidiellino al Senato – ha accusato la Laganà per aver omesso nelle sue dichiarazioni «il fatto che questo Fabio sia in realtà il fratello».
Ai punti interrogativi, verrebbe sinceramente da aggiungerne un altro: ma perché neppure una parola su questa torbida vicenda da Pierferdinando Casini, “padre nobile” dell’Udc (che tra Calabria e Sicilia può vantare sinceramente l’en plein d’indagati e arrestati per reati gravissimi: basterà ricordare l’ex presidente siciliano Totò Cuffaro e, sull’altra sponda dello Stretto, il non remoto arresto dell’ex candidato al Senato Pasquale Inzitari, cognato di Nino Princi, l’imprenditore di Gioia Tauro che i Piromalli fecero saltare in aria con un’autobomba), da Walter Veltroni (il segretario nazionale del Pd, ma soprattutto colui che più di tutti volle la candidatura a Montecitorio nel 2005 e l’osteggiata ricandidatura nel 2007 di Maria Grazia Laganà) e, ancor più, dal presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi (visto che la “sua” Forza Italia sta facendo incetta d’avvisi di garanzia per reati gravissimi in terra di mafia)?
Intanto domani, giovedì 16 ottobre, a Locri sarà ricordata l’uccisione di Fortugno, freddato mentre si svolgevano le primarie che incoronarono Romano Prodi candidato-premier del centrosinistra: tra le presenze annunciate, il presidente del Senato Renato Schifani, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, il superprocuratore antimafia Piero Grasso, la vedova di Antonino Caponnetto, Elisabetta.
A proposito: su iniziativa del presidente dell’Assemblea Bova e voto unanime del Consiglio regionale, sempre domani, in quella triste ricorrenza, si celebrerà la Giornata della memoria delle vittime di mafia solennemente sancita dalla legge regionale antiusura e antiracket appena varata.
Peccato non avere avuto memoria anche qualche mese prima, al telefono.
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