Anna Politkovskaja, forte come la verità
3pt 56.65pt 85.0pt 113.35pt 141.7pt 170.05pt 198.4pt 226.75pt 255.1pt 283.45pt 311.8pt 340.15pt; mso-layout-grid-align: none”>« Sensibile al dolore degli oppressi, incorruttibile, glaciale di fronte alle nostre compromissioni, Anna è stata, ed è ancora, un modello di riferimento. Ben oltre i riconoscimenti, i quattrini, la carriera: la sua era sete di verità, e fuoco indomabile. » – André Glucksmann, filosofo francese, su Anna Politkovskaja in un ricordo pubblicato su “Il Corriere della Sera” il 3 dicembre 2006
Una scomparsa che ancora non ha raggiunto una completa verità giudiziaria, nonostante l’impegno di avvio di un’approfondita indagine proclamato all’indomani dell’omicidio dall’allora presidente Vladimir Putin, che ha definito la professione di Anna Politkovskaja molto nota in Occidente e poco influente sulla vita politica russa. Solo tre persone sono state arrestate mentre ancora nulla circa l’esecutore materiale del delitto. Il suo assassinio ha colpito il cuore dell’informazione libera, coraggiosa e indipendente. A definirlo un crimine selvaggio è lo stesso ex presidente Mikhail Gorbacev. Il suo assassinio ha decretato la vittoria della censura come strumento di insabbiamento di verità scomode, della repressione come strumento di controllo delle coscienze. Ma c’è anche chi crede che la sua morte sia stata cercata per altri fini. Tra questi vi è l’editorialista della Delobaya Gazeta, Oleg Kashin, “non esiste alcuna verità così terribile da condannare a morte un giornalista” e dunque l’unico obiettivo degli assassini era quello di “scioccare la società e destabilizzare il Paese”.
Il 7 ottobre di due anni fa il suo corpo veniva ritrovato esanime nell’ascensore del palazzo dove risiedeva. L’8 ottobre, la polizia russa già sequestrava il suo computer e tutto il materiale dell’inchiesta di cui, dichiarava qualche giorno dopo l’editore della Novaja Gazeta Dmitry Muratov, la Politkovskaja stava per pubblicare, un lungo articolo relativo alle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov (chiamate dispregiativamente kadiroviti). Solo alcuni appunti venivano salvati e pubblicati dallo stesso quotidiano il giorno dopo.
Prima di approdare al quotidiano di ispirazione liberale, Novaja Gazeta, presso il quale lavorava al momento dell’assassinio, Anna Politkovskaja cominciava nel 1982 la sua attività giornalistica, collaborando al famoso giornale moscovita Izvestija fino al 1993. L’attività di cronista, in qualità di responsabile della Sezione Emergenze/Incidenti e come assistente del direttore Egor Jakovlev, la impegnò dal 1994 al 1999 presso il quotidiano Obščja Gazeta. Intanto già collaborava con altre radio e TV libere. Il suo primo incarico di inviata in Cecenia fu nel 1998, quando intervistò Aslan Mashkadov, all’epoca neo-eletto Presidente di Cecenia.
Il rischio cui era esposta era a lei chiaro fin dal principio, quando subiva minacce di morte, quando le intimidazioni di Sergel Lapin, un ufficiale di polizia di cui lei aveva denunciato comportamenti criminosi contro la popolazione civile in Cecenia e che dopo svariate interruzioni processuali sarebbe stato condannato per abusi e maltrattamenti aggravati su un civile ceceno, l’avevano costretta a fuggire a Vienna. Era lucida la sua consapevolezza, come lucido era il suo senso di responsabilità verso la verità e le vittime delle vergogne che le sue ricerche approfondite le ponevano sotto gli occhi. Lo sapeva e lo denunciava pubblicamente, come fece in occasione della conferenza di Reporter senza Frontiere nel dicembre del 2005 a Vienna. Articoli, libri tradotti anche in italiano tra cui “Cecenia. Il disonore russo” (Fandango 2003) e “Diario russo” (Adelphi 2007), per descrivere, denunciare accendere i riflettori sull’operato di un governo, quello russo, che non rispettava i diritti umani e, ovviamente, non gradiva che ciò fosse divulgato, specie se a farlo era un racconto attendibile, approfondito e accreditato.
E infatti il racconto che Anna scriveva della guerra non tralasciava nessun particolare e non escludeva alcuna voce, ecco perchè è stato violentemente spezzato. Durante i suoi frequenti viaggi in Cecenia, Anna Politkovskaja, raccoglieva le testimonianze di militari russi come di civili ceceni e sosteneva le famiglie della vittime nei campi profughi, denunciando le gravi connivenze tra il governo russo e gli ultimi due Primi Ministri ceceni, Ahmad Kadyrov e suo figlio Ramsan, entrambi sostenuti da Mosca.
La sua professionalità e la sua dedizione alle tematiche inerenti i diritti umani l’avevano consegnata alle ribalte internazionali attraverso prestigiosi riconoscimenti, quali il Premio dell’Unione dei Giornalisti Russi (2001), Global Award for Human Rights Journalism (Amnesty International – 2001) Courage in Journalism Award (International Women’s Media Foundation – 2002) e da ultimo un riconoscimento postumo, anche italiano, ossia il Premio Internazionale Tiziano Terzani (2007). Ma tutto questo era poca cosa rispetto ai rischi che sapeva di correre e che non sono comunque riusciti a sottrarla alla sua vocazione di raccontare. Anna Politkovskaja sapeva bene di essere in pericolo come sapeva di essere negoziatrice privilegiata nella guerriglia cecena, come sapeva di essere ritenuta autorevole fonte di informazione anche se ciò non doveva essere noto. E’ lucida l’analisi cha offre in un saggio, pubblicato postumo lo scorso anno, in cui scrive:
«Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno.
A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.
Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie.
Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci”.
Ma neanche questa lucidità ha cancellato la sua sete di verità, ha fermato il suo cammino verso la sua comprensione e la sua condivisione. Ha fermato il suo cammino verso una morte annunciata e cagionata da un’ingiustizia che ancora miete vittime perchè i carnefici rimangono ancora in libertà. Intanto in Russia i giornalisti e difensori dei diritti umani continuano a rappresentare delle categorie a rischio. Amnesty International, nel comunicato diffuso in occasione dela secondo anniversario dell’omidicio, ha sollecitato il governo russo a porre fine all’impunità nei confronti delle violenze commesse contro i difensori dei diritti umani e i giornalisti indipendenti.
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