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La mafia invisibile

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Non c’è mai stato nulla di semplice, scontato, regolare, nell’hinterland del Longano, in provincia di Messina, e Terme Vigliatore paese vicino all’area barcellonese non ha mai fatto eccezione. Qui, in una striscia di terra di 6000 abitanti, secondo e ultimo dei comuni del messinese sciolto per infiltrazioni mafiose, la criminalità organizzata ha ragionato e talvolta incentivato, affari lucrosi, guerre di mafia e latitanze obbligate. Se si guarda all’ultima operazione antimafia che ha coinvolto proprio territori limitrofi a Terme Vigliatore, la situazione oggi non è cambiata di molto, nonostante i reggenti di queste aree siano dietro le sbarre, risultano sotto il controllo della mafia le principali attività economiche: dalle discariche, al raddoppio della linea ferroviaria, ai subappalti e le forniture. Ma c’è di più.

Qui è nato il boss Pino Chiofalo, che a metà degli anni ‘80 si pone nettamente contro Cosa nostra palermitana e catanese e gli affari da loro gestiti sul territorio diventando il regista di una guerra di mafia fra le più cruente della zona.  In quegli anni Chiofalo, aveva deciso di spazzare via, uccidendoli, tutti i componenti del clan  reggente nel barcellonese, la famiglia Rugolo, e dopo averne eliminato il capoclan il 30 aprile del 1986  Chiofalo governa per alcuni anni il comprensorio del Longano. Le famiglie barcellonesi rinnovano i loro uomini e il comando in quegli anni viene affidato al giovane studente di giurisprudenza, Giuseppe Gullotti (sposato con una delle figlie di Rugolo) mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano  avvenuto nel 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto, frequentatore, secondo alcuni pentiti, del circolo barcellonese Corda Frates, fondato ed animato dal giudice Franco Cassata (quest’ultimo ha dichiarato di averlo espulso non appena informato dei suoi collegamenti con la mafia).  Chiofalo viene arrestato, a guerra ancora aperta, nel  blitz di Pellaro, a Reggio Calabria, del 29 dicembre 1987 ma il boss di Terme Vigliatore matura la decisione di collaborare con al giustizia solo dopo l’uccisione del figlio Lorenzino Chiofalo avvenuta nel corso della faida che in un solo anno lasciò sul selciato ben 5 morti di mafia nella sola Terme Vigliatore. Nel 1995 Pino Chiofalo diventa pentito attendibile e ricostruisce tutto: mappe delle famiglie reggenti, dinamiche interne, collusioni con politica e mondo degli affari.

Quasi fosse una sorta di Buscetta del Longano, Chiofalo rappresenta la chiave per capire cosa sta accadendo all’interno della provincia “Babba” all’insaputa o con il beneplacito delle autorità del luogo.  Dal suo arresto a prendere il comando per l’area di Terme Vigliatore, dalla seconda metà degli anni’90 saranno i fratelli Domenico e Giuseppe Tramontana. Domenico Tramontana, giovane  attaccante della locale squadra di calcio, viene ucciso nei pressi del lungomare di Calderà (Me) la notte fra il 4 e il 5 del 2001: imputato in una serie di processi per estorsione ad imprenditori della zona contro di lui l’amministrazione comunale di Terme Vigliatore si era costituita parte civile.

Oggi gli equilibri in quell’area sono difficili da decifrare, lo testimonia anche l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia che sulle famiglie del barcellonese e dintorni scrive: “a seguito della disgregazione delle preesistenti strutture criminali c’è una situazione di costante evoluzione, caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri, nel tentativo delle varie organizzazioni di ricompattarsi e coagularsi in cellule facenti riferimento agli esponenti di maggior carisma e spessore criminale non ancora colpiti dalla giustizia, nonostante ciò le ultime operazioni delle forze dell’ordine confermano il costante, pressante interesse delle   mafiose ad esercitare pressioni sulle imprese che lavorano nei pubblici appalti, con l’ulteriore rilievo che, nonostante le condanne inflitte, le stesse persone tornano ad esercitare i loro illeciti traffici ovunque gli interessi lo consentono”.

Appalti pubblici dunque al centro degli affari gestiti da un lato dall’attuale  famiglia reggente nel barcellonese, i Di Salvo, e dall’altro dalla frangia più influente dei cosiddetti Mazzarroti che controllano il territorio di Terme Vigliatore, Barcellona e Mazzarrà Sant’Andrea.  A capo dei Mazzarroti, Carmelo Bisognano, la cui leadership è stata minacciata da un affiliato aspirante boss, Tindaro Calabrese, proveniente da Novara di Sicilia (Me) paese poco distante da Terme Vigliatore, L’operazione Vivaio condotta dai Ros di Messina e provincia ha messo dietro le sbarre il boss e indagato altri trenta possibili collaboratori coinvolti in estorsioni, racket e persino in un omicidio quelli di Ninì Riottino, uomo di Bisognano reggente a Mazzarrà Sant’Andrea dopo l’arresto del boss detenuto a l’Aquila.

Pare che Carmelo Bisognano però stia per abbandonare le misure restrittive a suo carico e questo potrebbe determinare un cambiamento negli equilibri in quest’area. Adolfo Parmaliana, il prof antimafia, come l’hanno soprannominato, sapeva tutto questo, aveva visto questi ed altri boss condizionare la vita economico-sociale e civile di quest’area. Aveva visto crescere e fare il salto di qualità alla mafia invisibile che negli ultimi anni governa questi territori. Ma nel memoriale che lascia al fratello parla anche di un’altra cupola.  A fronte di questa densità mafiosa sul territorio Parmaliana denuncia una “cupola giudiziaria” che da anni insabbierebbe processi e rallenterebbe le indagini delle forze dell’ordine che sul territorio cercano di spezzare questa contiguità fra affari economici e quelli mafiosi.

Questo accadrebbe, secondo le denunce di Parmaliana, anche nei palazzi della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto. Ritorna anche se non se ne vuole parlare troppo il nome di questo  paese diventato cabina di controllo di affari troppo grandi, troppo lontani da qui. E mentre il resto della Sicilia è dentro una nuova primavera antimafia – complessa ma in corso – nella città del Longano con la mafia, nelle sue diverse forme, si continua a convivere.

Chi la denuncia, come il professor Parmaliana, viene isolato, calunniato e talvolta finisce nelle maglie di procedimenti giudiziari. Con la mafia invisibile qui si convive  per questo ancora si muore.

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