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Caso Manca, uno strano suicidio

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Suicidato dalla mafia, si diceva un tempo. Invece qui, a Barcellona Pozzo di Gotto provincia di Messina, quattro anni dopo è ancora silenzio su questo strano suicidio ordinato, sembrerebbe, da Cosa nostra. A denunciarlo i genitori dell’urologo Attilio Manca trovato morto a Viterbo il 12 febbraio 2004 (ufficialmente suicida) che da quel giorno lottano per sapere la verità sulla morte del figlio.

Attilio è un ragazzo giovane e in gamba, parte dalla Sicilia, studia, impara il mestiere, si specializza all’estero e in pochi anni  diventa un chirurgo di eccellenza:  l’unico, in Italia, a  saper effettuare un intervento alla prostata in laparoscopia. Secondo i genitori la morte del figlio sarebbe stata opera di Cosa nostra per togliere di mezzo un testimone scomodo del quale si sarebbe servita per operare il boss Bernardo Provenzano nell’ottobre del 2003, durante la sua latitanza.

Il cadavere del medico di Barcellona Pozzo di Gotto, viene rinvenuto nel suo appartamento seminudo sul letto, riverso in una pozza di sangue con il corpo pieno di macchie emostatiche, il setto nasale deviato. Secondo gli inquirenti Attilio si sarebbe iniettato un cocktail di “eroina, tranquillanti, e alcool” nel polso sinistro.  L’appartamento viene con molta fretta sottoposto a dissequestro e nei primi giorni, ai genitori, “per risparmiare loro un dolore”, verrà raccontata un’altra verità: Attilio è morto per aneurisma.

«Solo dopo pochi giorni dichiarano i genitori del medico – abbiamo saputo la verità. Dopo i primi momenti di sconforto, ci siamo resi conto di tutto quello che stava accadendo  e  abbiamo deciso di depositare una memoria scritta alla Procura di Viterbo (20 febbraio 2004) ». «Sono accadute cose assurde in queste indagini – prosegue la madre Angela – anche l’ultima telefonata fra me e Attilio dell’11 febbraio 2004, prima presente nei tabulati, è scomparsa dagli atti» E non è l’unico tassello fuoriposto in questo “suicidio con riserva” di un medico che non aveva intenzione di suicidarsi (tanto che fra le altre cose aveva in programma un viaggio in Bolivia con Medici senza frontiere e un training a Cleveland in un istituto altamente specializzato). Il primo su tutti:  Attilio era mancino mentre  le iniezioni sul polso sinistro presuppongo l’uso della mano destra. Inoltre, quando Attilio muore, secondo  gli inquirenti, cade su un telecomando che sarebbe all’origine degli ematomi ma dalle prime foto si evince che questo si trova lontano dal viso. C’è infine un altro elemento importante: dai rilievi effettuati nell’appartamento si scoprono altre quattro impronte; nessuna di loro risulta compatibile con quelle di Attilio, mentre una appartiene al cugino del medico, Ugo Manca.

Ugo è colui  che sin dal primo giorno che – dichiarano i genitori –  chiede ai medici di mentire ai coniugi, è lo stesso che chiede la restituzione del corpo e il dissequestro dell’appartamento in tempi rapidi. Ugo Manca è, fra le altre cose,  condannato a nove anni di reclusione in un filone del maxiprocesso dello Stretto, “Mare nostrum”. 

 E’ attraverso il cugino – secondo i genitori –  che il figlio sarebbe stato coinvolto nell’operazione chirurgica al superboss latitante Bernardo Provenzano. Proprio negli stessi giorni in cui il capo dei corleonesi sotto falsa identità, Gaspare Troia, veniva condotto a Marsiglia per essere in gran segreto operato alla prostata, Attilio Manca, all’insaputa dei colleghi si sarebbe recato all’estero. Ai genitori, per telefono, avrebbe confermato di trovarsi in Francia per motivi di lavoro.

Nell’ultima telefonata, la stessa misteriosamente scomparsa dai tabulati, Attilio chiede ai genitori di riparare una moto custodita in un garage nella casa al mare di Tonnarella (Me). «Quando abbiamo controllato la moto, dopo la sua morte – dichiarano i genitori – ci siamo accorti che funzionava. Quella richiesta è probabilmente ad oggi – un indizio che Attilio ha voluto lasciarci; li c’è la chiave per capire chi ha coinvolto in questa storia nostro figlio». Grazie a  questi ed altri elementi acquisiti successivamente dal legale dei Manca, Fabio Repici, in questi mesi è in corso l’incidente probatorio per riaprire il caso.

 I Manca di recente, insieme all’avvocato dichiarano anche altro sull’asse che lega Corleone a Barcellona Pozzo di Gotto. «Ci sono elementi inquietanti circa la latitanza del boss in quest’area – conferma l’avvocato Fabio Repici – a partire dalla presenza dentro il convento di Sant’Antonio di un frate, la cui famiglia, a Canicattì, ha gestito gran parte della latitanza del boss, passando per le dichiarazioni di un pentito che ha dichiarato di averlo visto nel 2001 in casa di Michelangelo Alfano (referente di Cosa nostra palermitana, ndr) e infine un’intercettazione contenuta nell’ultima operazione Vivaio nella quale la sorella del boss reggente della famiglia di Mazzarà, Bisognano, conferma la presenza di Provenzano nella vicina Porto Rosa».

Il delitto Manca quindi potrebbe essere  l’ennesimo omicidio commesso per cancellare tracce di una latitanza scomoda che ha goduto di sostegni “importanti” in Sicilia e non solo.  Una verità di troppo soprattutto a  Barcellona Pozzo di Gotto, paesino in provincia di Messina, nel quale da decenni accadono strani fatti  ma dichiarano i genitori Manca – per  parte della magistratura –qui ci sono solo singoli episodi delinquenziali. Da qui venne consegnato il telecomando e l’esplosivo per la strage di Capaci e numerosi boss di spicco hanno lasciato dietro di se scie di sangue per coprire le tracce della loro latitanza: quella di Nitto Santapaola coincise con l’omicidio Alfano, quella di Gerardo Alberti junior con quello di Graziella Campagna; quella di Bernardo Provenzano con la morte di nostro figlio”.

Tutti fatti ai quali dopo le indagini è stato messo il silenziatore, anche da parte di alte sfere di potere. «Non ci resta che restare e lottare contro questo muro di gomma – dichiarano i genitori di Attilio –  a partire da qui dove c’è la chiave del mistero che avvolge questa morte»

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