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Transparency International: CPI 2008, Italia bocciata

Di Valerio Graglia il . Internazionale



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4,8.
Se questa fosse la sua media scolastica, l’ Italia sarebbe
sicuramente bocciata, senza possibile “spintina” per
risollevarsi. Non è mica un cinque e mezzo. Questo il suo voto per
“Transparency International” (abbreviata TI), la più grande Ong
e la massima autorità in merito alla lotta alla corruzione pubblica
e politica, che ogni anno dal 1995 con un rapporto basato su ricerche
precise (si appoggia oltre che sulle proprie forze di ricerca ai più
grandi istituti economici e finanziari, alle banche di sviluppo
continentali e mondiali ed altre organizzazioni internazionali)
pubblica una classifica riguardo l’ indice di percezione della
corruzione in quasi tutto il mondo. L’ultimo è stato diffuso il 23
settembre,con 180 paesi presi in esame, dal quale sono esclusi solo
quelli dove non è possibile raccogliere dati da almeno tre enti
accreditati da TI. Annualmente il CPI (Corruption Preceptions Index)
così ideato dal prof. Lambsdorff, precisa la dimensione del fenomeno
della corruzione così definita dalla stessa Transparency: “
abuso
di potere affidato, per profitto personale

Viene
espresso con un voto da 1 a 10 che decresce all’ aumentare del
fenomeno. Possiamo vedere a pari punteggio in cima alla classifica
Danimarca, Svezia e Finlandia, mentre sul fondo della classifica la
Somalia, appena seguita dalle nazioni con forti congestioni interne o
scenari di guerra (Iraq, Afghanistan, Myanmar, Sudan). Il nostro
paese è alla posizione n. 55 ,con 4,8 di votazione finale, sola e
staccata da tutte le sue sorelle europee ed i suoi partner
intercontinentali. Situazione definibile come drammatica. Ma se la
diffusa corruzione nel nostro paese non ci scandalizza più di tanto,
altri risultati sono spunto di riflessione. Le potenze sul piano
politico-internazionale ed economico sono quasi tutte accorpate nelle
prime trenta posizioni, ad eccezione della Russia tristemente
relegata al n. 147. Mentre davvero problematico è il discorso legato
alle nuove potenze emergenti, motori del mercato globale come China,
Brasile ed India, tutte con valutazioni dal 3,8 in giù oppure
quelle aree geopolitiche considerate “strategiche” nella storia
recente, come quella balcanica o quella mediorientali, che al di
fuori dei piccoli paradisi imprenditoriali compresi nelle prime 50
posizioni (Oman, Qatar, Emigrati Arabi), trova il resto dei suoi
membri abbondantemente sotto la sufficienza.

Un indagine
concisa e completa che testimonia una terribile tendenza da parte
degli Stati che dovrebbero, per loro scelta, adoperarsi per un
corretto sviluppo globale: quella di sfruttare i mercati di questi
paesi ed i relativi benefici che spesso emergono da mancanze
legislative o da scarso controllo sul territorio da parte delle
autorità, senza mai compromettersi e neppure dimostrare interesse
verso tematiche come la corruzione: prettamente etica, ma dai
risvolti altamente economici.

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