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Guinea-Bissau ovvero la genesi di un “narco-stato”

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

In Guinea-Bissau,
piccola repubblica dell’Africa Occidentale, si sta assistendo alla
nascita di un vero e proprio “narco-stato” in cui attori
diversi, e con diverse finalità, contribuiscono a minare fin dalle
fondamenta la cosa pubblica, inabissandola nel mondo dell’illegalità
legalizzata.

I due principali
attori della “narcostatizzazione” del paese sono la criminalità
organizzata e lo Stato. La prima presente in tutte le sue declinazioni:
i narcotrafficanti colombiani, la piccola, ma crescente criminalità
locale, le mafie di collegamento, che garantiscono il transito della
cocaina dalla Guinea-Bissau all’Europa, ed infine le mafie europee
che sono i destinatari finali della “polvere bianca”. Esempio
brillante di come il crimine sia stato capace di globalizzarsi ben prima
di quanto lo fossero le economie e le società del mondo post guerra
fredda.

L’altro attore
è lo Stato, in tutte le sue declinazioni: l’establishment politico,
la magistratura, le forze dell’ordine, l’esercito. Ognuno con un
ruolo diverso, ma tutti compartecipi dello stesso “progetto”. Uno
strano, ma ben comprensibile paradosso, spiegabile dal fatto che la
Guinea-Bissau non è un paese propriamente democratico: ha un governo
corrotto, diviso tra diverse fazioni che corrispondono alle etnie che
si sono combattute durante la guerra civile; un Presidente della Repubblica
che nel passato ha governato con una dittatura militare; l’esercito
che continua a controllare i gangli vitali della nazione. Il tutto in
un fragile equilibrio che rischia, in ogni momento, di sfociare in una
nuova guerra civile. La Guinea-Bissau si trova quindi in presenza di
istituzioni deboli, gestite da gente incompetente e facilmente corruttibile,
che non ha come obiettivo principe il buon governo del proprio paese,
ma l’immediato arricchimento personale. Un ottimo biglietto da visita
per i narcotrafficanti in cerca di un posto accogliente dove poter far
approdare la “blanca” diretta verso l’Europa.

In un contesto
talmente difficile esistono però delle voci dissonanti che denunciano
il malaffare dilagante, cercando di porre un freno alla deriva a cui
sta andando incontro la Guinea-Bissau: i giornalisti e la stampa indipendente.
Tuttavia non è facile parlare dei rapporti tra le istituzioni, e in
modo particolare l’esercito, e i colombiani. Chi coraggiosamente ha
cercato di abbattere il muro di gomma dell’omertà è stato pesantemente
minacciato. Arresti, minacce, irruzioni nelle abitazioni personali e
nelle sedi dei giornali. Reporters sans Frontierès in un recente rapporto ha denunciato con forza gli attacchi dei militari nei
confronti della stampa libera. Allen Yero Emballo, corrispondente
locale per AFP e Radio Free International è scappato in Francia dopo
aver accusato il capo di stato maggiore della Marina, José Américo
Bubo Na Tchut, di proteggere, con il suo entourage, le operazioni dei
colombiani nel paese. Per tutta risposta Bubo Na Tchut ha lanciato un
chiaro messaggio a Emballo:



«O taci o vai incontro a morte certa».
Albert Dabo,
corrispondente dell’agenzia Reuters, ha subito la
stessa sorte, reo di aver accompagnato un gruppo di giornalisti stranieri
che stavano preparando un dossier sui militari coinvolti nel narcotraffico.
Anche in questo caso Bubo Na Tchut ha attaccato pesantemente il giornalista,
minacciandolo di farlo arrestare con l’accusa di intelligence a servizio
di paesi stranieri e di alto tradimento. Allo stesso modo, Mario
Sà Gomes,
attivista dei diritti umani, ha invitato pubblicamente
il Presidente della Repubblica a destituire il capo di stato maggiore
dell’esercito, Batista Tagm Na Wai, perché incapace di controllare
un esercito che si arricchisce vendendo droga in combutta con i narcos
colombiani.

A questi esempi,
denunciati da Reporters sans Frontierès, ne fanno seguito altri riguardanti
l’incapacità della polizia di bloccare l’ondata di illegalità
nel paese. I poliziotti chiamati a contrastare il narcotraffico sono
mandati letteralmente allo sbaraglio: hanno in dotazione una sola macchina,
due celle all’interno di un commissariato, sessanta ispettori per
controllare l’intero territorio nazionale. Un’assoluta scarsità
di fondi che stride violentemente con l’invincibile armata dei
narcos
, una vera e propria macchina da guerra dotata di armi tecnologicamente
avanzate, aerei, navi, sommergibili, e un fiume di denaro capace di
corrompere paesi interi. Tuttavia, quando la polizia, nonostante i propri
limiti, riesce ad arrestare in flagrante colombiani o affiliati locali,
la macchina del narco-stato si mette subito in moto. Caso eclatante,
come riportato da Rsf, è accaduto lo scorso anno, quando la polizia
è riuscita ad arrestare due ufficiali dell’esercito trovati in possesso
di 635 chili di cocaina. Dopo un paio di ore passate agli arresti, i
militari vengono scarcerati per ordine del capo di stato maggiore dell’esercito,
Batista Tagm Na Wai che per l’occasione si è auto-investito di poteri
giudiziari eccezionali.

La Ministra
della Giustizia, Carmelita Barbosa Pires, vive sotto scorta in seguito
alle minacce di morte ricevute per aver disposto l’arresto di colombiani
invischiati nel narcotraffico e per aver chiesto aiuto alla comunità
internazionale per fronteggiare l’invasione del paese. 

L’informazione
vive con la costante minaccia dell’esercito pronto a mettere sotto
silenzio ogni voce di connivenza con i narcos; la polizia è
disarmata e disarmante nella sua debolezza; le istituzioni si trastullano
con il fiume di denaro proveniente dai traffici; il paese è ormai invaso
dai colombiani che lo hanno trasformato in una vera e propria base logistica
per lo smistamento della cocaina proveniente dall’America Latina:
l’infezione della “narcostatizzazione”  rischia di
diventare irreversibile, e di trasformarsi in pandemia per l’intera
regione.

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