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Dieci anni fa l’omicidio Ioculano
“Mio padre dava il cattivo esempio”

Di Alessio Magro il . Calabria, Interviste e persone

Ha lasciato un vuoto, in una terra che ha bisogno di esempi. Quello di Luigi Ioculano è un omicidio preventivo. Una morte per dare un segnale: nessuno si può permettere di contestare ad alta voce le cosche, di dare il “cattivo esempio”. E così le ‘ndrine di Gioia Tauro hanno deciso di eliminarlo. Tre colpi di pistola, di mattina, in pieno centro. Il killer suona il campanello dello studio. Il medico di famiglia Luigi Ioculano apre la porta, pensa si tratti di uno dei suoi tanti pazienti. Ma trova la morte. Dieci anni fa, il 25 settembre del 1998.

Per quell’omicidio c’è già una sentenza. Due condanne in primo grado, due ergastoli. Sarebbe Giuseppe Piromalli, il presunto capobastone della Piana, ad aver ordinato l’agguato. E Pasquale Filippone avrebbe eseguito. Un primo punto fermo, una speranza di giustizia. Anche se per Ilaria non cambia nulla. Resta la sfiducia, per chi ha dimenticato la morte del padre, per chi lascia correre, perché nulla cambia. Fino al prossimo morto.

E’ la sfiducia da decostruire, i primi passi verso l’impegno, il disinnescare la rabbia cieca e trasformarla in positivo, il vivere il proprio dramma come esperienza collettiva. In un percorso come quello iniziato da Libera Memoria.

Ilaria, la madre e la sorella non sono soli. Oggi a Gioia Tauro si scenderà in piazza, una fiaccolata per ricordare. A guidarla don Pino De Masi, l’anima di Libera Piana e della coop Valle del Marro-Libera Terra. “Ma in paese non è rimasta la memoria. Tutti si ricordano di lui, ma non come vittima della ndrangheta. Non c’è una targa, mai un intervento ufficiale”. Uno sfogo per quella che è una sorta di rimozione collettiva, il convivere con le cosche. “Perché la gente ha paura”.

E la paura ha preso vita proprio dieci anni fa. “Quello di mio padre – racconta Ilaria – è un omicidio strano. Nessuno pensava che sarebbero arrivati a tanto. Non c’è stato un episodio eclatante, ma un contesto generale. Mio padre denunciava gli illeciti in qualunque campo: sanità, ambiente, racket. Una illimitata voglia di denuncia e di riscatto. Parlava mentre gli altri tacevano. Era solo. La gente però lo ascoltava, era preso in considerazione”. Il cattivo esempio.

Il secondo lutto è quella “lontananza della gente che ti ferisce. La capisco – spiega Ilaria – ma non la condivido. E’ la mentalità che ti porta a condividere e a tacere. Il messaggio è chiaro: se hanno colpito mio padre, un uomo in vista, avrebbero potuto colpire chiunque. La comunità si è chiusa in se stessa, nessuno ha osato fiatare, in pochi ci sono stati vicini”. Altri tempi.

Ilaria viveva già lontana da casa, per studio e per scelta. Una decisione confermata dalla tragedia. L’ha seguita il resto della famiglia. Un modo per rigettare la mentalità mafiosa, per “non incontrare più certa gente, per non soffrire”. Ma “non ci tiriamo indietro, abbiamo iniziato una lotta che mai finirà”. E poi “ammiro chi resta, ognuno reagisce a suo modo”.

Anche perché “resistono l’esempio di mio padre, i suoi insegnamenti, i valori in cui ho imparato a credere grazie a lui. Altrimenti sarei stata una persona diversa. Non si torna indietro, come non sarebbe tornato indietro lui, se avesse colto i segnali di pericolo”. Ioculano, ancora un eroe normale.

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