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Rosario Livatino, quel giudice giovane e “scomodo”

Di no.fe. il . Dai territori, Sicilia

Così rimase per tutti, dopo quell’esternazione  dell’allora presidente Francesco Cossiga: “il giudice ragazzino”. A soli 38 anni, dopo esser stato a Caltanissetta, era arrivato a lavorare in una procura difficile quella di Agrigento, come giudice a latere e della speciale sezione misure di prevenzione. Una carriera piena di lodi e rapidissima la sua e anche incisiva. Tanto che fu uno dei pochi ad interrogare un Ministro dello Stato negli anni che precedettero gli scandali di Tangentopoli.

Non piaceva affatto alla  stidda agrigentina, in lotta con Cosa nostra per il controllo del territorio in quegli anni, quel giudice giovane che conduceva indagini e si occupava di far andare avanti la macchina giudiziaria così rapidamente e diciotto anni fa, decise di ucciderlo in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre ’90 sul viadotto Gasena della SS 640 Agrigento – Caltanissetta mentre – quando senza scorta e con la sua Ford Fiesta amaranto – il giudice si recava in Tribunale. Una morte senza un ufficale movente la sua, per la quale sono stati arrestati e condannati in tutti i gradi di giudizio, i componenti del commando di fuoco, grazie ad un super testimone, Ivano Nava.

Ieri lo hanno ricordato con una messa solenne  celebrata presso la Chiesa San Domenico a Canicattì, nella sua città natale. Ad agrigento invece sono state deposte delle corone di fiori sulla stele fatta erigere in sua memoria dai genitori, in contrada Gasena. In molti i politici e gli uomini delle istituzioni che ne hanno sottolineato il grande impegno e il sacrificio, dal Ministro della giustizia Angelino Alfano che dichiara (come è ormaai sua consuetudine per ogni commemorazione da quando è in carica) che il Governo si muoverà in maniera più incisiva “per uniformare le norme antimafia in un testo unico” in parlamento già la prossima settimana, all’onorevole Beppe Lumia  – che ha commentato – “Rosario Livatino mori’ perche’ era un giudice integerrimo e capace che faceva il proprio dovere, come lo fanno oggi tanti magistrati impegnati contro la mafia in Sicilia e le altre organizzazioni criminali nel resto del Paese.

Mori’ soprattutto perche’ con le sue inchieste era andato a toccare gli intrecci, ancora oggi vivi, fra mafia e politica”.

 

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