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Palermo, intimidazione al magistrato Nino Di Matteo

Di no.fe. il . Dai territori, Sicilia

E’ il  secondo avvertimento ad un giudice in Sicilia in pochi giorni e arriva  proprio negli stessi in cui si ricorda il sacrificio di un altro giudice, Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990. Dopo l’avvertimento giunto al giudice Giacomo Montalbano, vttima  del gesto intimidatorio,  stavolta il pm Antonino Di Matteo. Ignoti, domenica scorsa, hanno esploso un razzo di segnalazione in aria, davanti alla scorta,  nei pressi dell´abitazione di campagna del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo a Santa Flavia .  Un uomo  si nascondeva tra i cespugli vicino alla casa davanti alla quale stazionavano le auto blindate con le quali si muove Di Matteo, quando i carabinieri gli hanno intimato l´alt l´uomo è fuggito, ma prima di riuscire a dileguarsi tra le campagne, è riuscito a lanciare in aria un razzo di segnalazione,  forse per dare un segnale a qualche complice che lo aspettava nei dintorni.Il razzo ha illuminato in maniera evidente tutta la zona.

Il fascicolo delle indagini potrebbe essere trasferito a Caltanissetta, città in cui c´è la Procura competente a indagare sui reati di cui siano «persone offese» i giudici del distretto di Palermo.I due episodi intimidatori adesso sono all´esame del comitato per la sicurezza e l´ordine pubblico.  Il sostituto Nino Di Matteo è uno dei titolari di molte grosse inchieste di mafia, a cominciare proprio da quelle sulle famiglie mafiose della zona, da Villabate a Bagheria. Sull’episodio si esprimono i colleghi di magistratura democratica e in particolare Antonio Ingroia che con il pm sta seguendo molte inchieste alla Dda di Palermo e che dichiara – “Siamo preoccupati  per l’insufficiente attenzione sulla lotta alla mafia che determina senso di solitudine e isolamento della magistratura antimafiosa in un momento in cui l’obiettivo primario sembra esserne la riforma e la separazione delle carriere;   l’obiettivo sembra anche la riforma delle indagini modificando l’uso delle intercettazioni, invece di una seria revisione della Giustizia per il potenziamento degli strumenti antimafia”. “E’ grave – conclude Ingroia- che ciò avvenga nei giorni in cui si ricorda Rosario Livatino che fu vittima di analoga solitudine e isolamento”.

Da settimane, con il collega Antonio Ingroia, Di Matteo sta raccogliendo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulla trattativa avvenuta nel ’92 fra Cosa nostra e pezzi dello Stato. Si tratta di quella strana fase  nella quale, come conferma anche il figlio del politico defunto, parti dello Stato, sotto la pressione della fase stragista di Cosa nostra, avrebbero provato a tastare il terreno per una resa condizionata dei capi di Cosa nostra. Cosa accadde, e quale fu la merce di scambio è ancora oggetto di inchiese delicatissime. Delicate quanto quelle che lo stesso Di Matteo seguì per un periodo a Caltanissetta e che riguardarono la strage di via d’Amelio. Su questo processo il magistrato, in occasione dell’anniversario della morte del giudice, nel luglio scorso, dal Palazzo di giustizia di Palermo aveva dichiarato  “Su via d’Amelio siamo un Paese che ha rinunciato a sapere” . Ed era stato chiaro per i presenti in aula il suo monito contro le verità che mancano ancora nei faldoni dell’ indagine sulla morte del collega Borsellino, laddove la fase stragistra di Cosa nostra incontrò entità esterne e ancora ignote.

Due capitoli vicinissimi la morte di Borsellino e le successive mosse dello Stato. Anche la mafia ha cambiato pelle, adesso  e a farle paura non è solo la perdita del controllo del territorio, ma che possa saltare, il meccanismo di connessioni, prossimità e connivenze con una parte del mondo politico e finanziario. Questi atti di intimidazione sono una novità in questo periodo ma sono la regola ogni qual volta Cosa nostra sente che sta perdendo qualcosa, qualcosa di importante.

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