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Gli Insabbiati, pagine di inchiesta in una Sicilia metafora del Paese

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Si scrive Insabbiati e si legge,  dimenticati, nascosti, isolati. Ma anche, coraggiosi, onesti, appassionati.  Sono Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato,  Mario Francese, Pippo Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Sono le storie di otto giornalisti condannati a morte da Cosa nostra (e non solo). Sono le storie raccontate da Luciano Mirone, giornalista scrittore catanese, con il quale abbiamo parlato di questo viaggio nell’informazione negata in terra di mafie.

Dopo la prima edizione de Gli Insabbiati, hai continuato a fare inchiesta. Cosa ti è rimasto di questo  viaggio nella Sicilia dell’informazione negata?

Ho incontrato in questi anni, familiari, magistrati, e soprattutto storie, quelle dei giornalisti uccisi per aver svolto il proprio mestiere con onestà. Poi ci sono dietro anche altre storie, private, belle e dolorose. Quelle dei genitori di questi cronisti, delle mogli, delle fidanzate, dei figli, alcune di queste le racconto in questa seconda edizione del libro. Da Enza D., fidanzata del giornalista Cosimo Cristina, ucciso a Termini Imerese perché denunciava nomi di mafiosi  e potenti del luogo, a Giuseppe Francese, figlio di Mario Francese (giornalista del Giornale di Sicilia ucciso da Cosa nostra nel gennaio del ‘79) morto dopo una vita trascorsa chiedendo verità per quella morte. Ma  ci sono anche il padre di Giovanni Spampinato, ex partigiano, e la moglie, persone davvero disponibili, affettuose. E poi gli altri, quelli  che sono ancora lì e che sono storie di  personaggi incredibili come Riccardo Orioles ( ne nascono uno ogni cento anni, così!), protagonista con Pippo Fava, di quell’esperienza che fu il giornale I Siciliani.

Perché hai scelto di raccontare queste storie siciliane?

A fronte di tantissimi altri che hanno speso la loro vita per la libertà d’informazione, ho voluto fermarmi proprio su queste vite, per poter spiegare, anche attraverso questi coraggiosi cronisti, come la Sicilia sia stata la metafora dell’Italia. Volevo spiegare la mafia in maniera diversa, volevo scavare in questi otto misteri, per spiegare meglio, quello che è successo in Italia in questi ultimi trent’anni. Leggendo le loro inchieste  e studiando il contesto in cui lavoravano si ritrova tutta la storia di un Paese: dallo sbarco degli americani in Sicilia sino alla strage di piazza Fontana, e una Sicilia avamposto di strategie da Guerra Fredda.

Cosa lega queste otto storie tra loro?

Nelle loro storie ci sono tantissimi punti in comune. Innanzitutto,  c’è la mafia. E poi tutto quello che ne consegue, che vuol dire anche: strategia di delegittimazione della vittima. Dopo la morte di un giornalista  gli articoli,  i servizi televisivi o qualsiasi altro documento acquistano un valore dirompente per mandanti ed esecutori, perché l’opinione pubblica è portata secondo un nesso di causa ed effetto ad indicare come mandanti coloro che sono stati denunciati in questi servizi. Lo abbiamo visto  ripetersi a catena  per tutti loro. Lo conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, un pentito di primo piano come  Angelo Siino che racconta come nei confronti di Pippo Fava “si sia portata avanti la strategia mafiosa della delegittimazione”. 

Mafia e poteri forti e in mezzo, l’informazione soffocata. Che ruolo hanno avuto  poteri occulti, come i servizi segreti deviati, in questi omicidi?

Ci sono stati. Di loro c’è certezza, soprattutto in due casi:  il caso Rostagno e il caso De Mauro ( con procedimenti giudiziari ancora aperti) . E c’è da aggiungere, che da pochi anni spuntano fuori anche  nell’omicidio del giornalista Beppe Alfano (assassinato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993). Su quest’ultimo, la figlia Sonia Alfano racconta e mette a verbale, depositandola presso  la Procura della repubblica di Messina, la confidenza di un magistrato che le ha riferito che la notte in cui venne ucciso Beppe Alfano i servizi segreti entrarono a casa del giornalista, per rovistare, per cercare carte, documenti. Anche per Alfano dunque si comincia ad ipotizzare  una convergenza d’interessi. 

Convergenza d’interessi è infatti la parola che più di tutte compare nei faldoni giudiziari di questi delitti, perché?

Dalle nostre parti un giornalista non viene ammazzato solo per questioni di mafia, ma per convergenze d’interesse, perché è la mafia ad avere tutta una serie di interessi che convergono in quest’unica organizzazione, e un giornalista che se ne occupa, che comincia ad intuirli tutti, li denuncia e viene ammazzato.

Si indaga ancora sugli “interessi convergenti” che armarono la mano degli assassini di Mauro Rostagno, del quale fra pochi giorni ricorre il ventennale della morte. Cosa emerge dalla tua inchiesta?

Che anche qui, sono state messe a segno sia la strategia di delegittimazione sia quella di depistaggio. Mentre le indagini procedevano in tutte le direzioni, in Procura c’era chi cercava di far sparire  videocassette, appunti e negli anni far cancellare registrazioni, di telefonate, come quelle fra il guru della comunità Francesco Cardella e l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Ma anche che Rostagno, venuto a conoscenza  che c’era stato un incontro, ben due cene, fra Licio Gelli, Natale L’Ala e Mariano Agate, due grandi boss molto importanti della provincia di Trapani,  mette subito a verbale le sue dichiarazioni dai carabinieri ma  pezzi dell’ Arma dei carabinieri, dopo l’omicidio, scrivono che dietro l’omicidio Rostagno c’era  il traffico di droga interno alla comunità in cui lavorava (la Saman, ndr).  Perché, sebbene al corrente,  sottovalutano la pista della mafia e di altre entità nonostante quelle dichiarazioni?

Per la prima volta il 3 maggio scorso la Fnsi e l’Unci hanno istituito una giornata che li ricorda tutti. Dopo alcuni mesi, la dichiarazione che nascerà un Osservatorio sui cronisti minacciati, qualcosa anche dentro la categoria sta cambiando,  cosa?

Alcune cose sono cambiate e sono quelle che hai menzionato. Rimane una strana sensazione sul comportamento tenuto sin ora. L’ho avuta con la prima pubblicazione del libro:  mi sarei aspettato da parte della stampa nazionale maggiore sensibilità, invece nei confronti di queste otto persone c’è stato un silenzio singolare, strano; è’ successo qualcosa che non sono mai riuscito a spiegarmi. Mi fa piacere che oggi invece si istituiscano giornate come quella del 3 maggio ma facciamo anche  in modo che non rimangano solo il luogo della commemorazione. Bisogna continuare a chiedersi il perché di queste morti, è indispensabile sapere e capire perché sono stati uccisi.

Oggi sei un giornalista d’inchiesta in una Sicilia cambiata ma non ancora abbastanza, cosa manca all’informazione oggi li?

Mancano gli editori. Ci sono degli editori, che nella migliore delle ipotesi, devono obbedire, diciamo alle logiche del profitto. Se poi consideriamo che alcune testate sono state anche vicine all’organizzazione e che quelle libere, invece hanno chiuso oggi,  davanti ai giornali siciliani, in alcuni casi, fai la scelta di non scrivere.  E sono scelte molto dolorose. A volte decidi di farlo tu un giornale, con molti sacrifici. Ma rimane il fatto che dentro questa professione  ci metti te stesso e la tua passione per questo lavoro. E infine, è anche bello.

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