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No Man’s Land

Di Alessandre Del Giudice il . Campania, Dai territori

Alle 20.15 gli spari, tanti, a ripetizione. Non sono spari di pistola. Persone che urlano. Escono fuori alcuni abitanti vicini. Chiamano la polizia, i carabinieri, l’ambulanza.
“A terra ci sono dei morti”. Nella terra tra Provincia di Napoli e Provincia di Caserta non si sa mai di chi è la competenza. Risponde il centralino, poi si passa da ufficio ad ufficio mentre i minuti passano. “La situazione è atroce”. Gli abitanti spiegano. Ma ci sono anche dei vivi a terra. Qualcuno alza il braccio, chiede aiuto. Ma nessuno si avvicina. I killer potrebbero ripassare.
Mi racconta chi è accorso subito. Ma non vuole essere nominato.
Li hanno visti, una motocicletta con due uomini che quasi ci entrava dentro al negozio del sarto e poi una macchina con una luce lampeggiante, con altri tre dentro, sembra avessero anche i giubbotti antiproiettile, volevano simulare la polizia.
Intanto il tempo passa. Quaranta minuti sicuro, ma potrebbero essere cinquanta.
L’ospedale di Pineta Grande a Castelvolturno è a 15 Km, l’ospedale S. Maria delle Grazie a La Schiana a 15 Km.
45 minuti per un’autoambulanza.
Sono le 22.00. Finalmente polizia ed ambulanza arrivano quasi in contemporaneamente e portano via i due rimasti vivi. Uno morirà all’ospedale, l’altro è ancora in gravi condizioni.
Alle 23.00 arrivano i parenti delle vittime. Iniziano le urla, i pianti.
Il magistrato arriva ancora più tardi verso mezzanotte.
Le telecamere del parco di fronte non funzionavano, non funzionavano quelle della recinzione della pineta.

Si sa. Che qui gira la droga. Coca. Che Lago Patria è un snodo nel circuito dello spaccio, che i neri sono le pedine mentre qualche testa della zona è già in galera.
Là dove ci sono le sagome stese, di giorno c’è un’auto con le pezze, una ventina di paia di scarpe ed un uomo africano. Un’increspatura colorata nel paesaggio rettilineo e desolato della via Domitiana.
Che vuoi che ci faccia altrimenti uno che sta lì fermo tutto il giorno? Dicevano alcuni.
“Un paio di scarpe. Sono vecchie. Sono usate d’accordo”. Ma un paio di scarpe usate serviranno pure a chi vive buttato con altri 15, 20 sopra a dei materassi luridi, in un seminterrato umido.
Perché vivono così gli extra comunitari tra Castel Volturno e Licola.
Padre Maurizio della Piccola Casetta di Nazareth, fa la ronda di notte per aiutarli: cibo, medicine, coperte. Gli cerca casa, a volte gli trova pure un lavoro.
E’ da qualche anno che è in atto un tentativo di riqualifica del territorio; lodabile l’illuminazione e la creazione di spartitraffico tra le corsie ed innumerevoli rotatorie realizzate dopo che tanti c’erano rimasti sull’asfalto di quella strada che non aveva neanche i marciapiedi. Ma non basta. Resta il degrado di agglomerati abitativi rifugio di extracomunitari, comunitari ed italiani che vivono la sotto occupazione o il precariato con dignità, ma anche di espedienti o criminalità con lo spaccio e la prostituzione.

 “Al Villaggio Coppola sono sbarcate trecento ragazze nigeriane da mettere sulla strada” mi ha raccontato due anni fa. “Nessuno se ne è accorto”.
Qui tutti si fanno i fatti loro, blindati nelle villette, chiusi nei parchi. Si paga la sicurezza privata che paga la tangente alla camorra perché nessuno rubi. E quando non c’è la sicurezza spesso i furti sono a ripetizione. Si sa chi è stato. Nome e cognome- hanno detto a me e ad altri – ma dove stanno le prove?

Fuori dei parchi il nulla.
Nessuna piazza, nessun giardino pubblico, nessun centro di aggregazione. Solo quartieri dormitorio sorti in mezzo al deserto.

E’ qui, al confine tra Provincia di Napoli e Provincia di Caserta, in una terra “senza pietre” e senza identità che può sopravvivere anche chi non ha un nome e un passaporto, chi è ultimo.

A piangere questi ultimi, i loro parenti ed amici.
“Non erano corrotti. Erano del Ghana. Sono i nigeriani che spacciano droga”. Si scagliano contro il razzismo degli italiani che li rendono ultimi in una terra di ultimi.
Che non corra buon sangue tra ghanesi e nigeriani lo conferma anche padre Maurizio “All’inizio mettevo insieme più africani in una casa. Poi ho capito che sbagliavo. Che quelli del Ghana e della Nigeria non possono stare insieme”.
Ma al delle colpe. Perché è chiaro che l’intento era non lasciare nessuno vivo al di là degli spacciatori e degli innocenti.

Resta il fatto di quell’autombulanza arrivata così tardi. Simbolo di un territorio senza speranze e senza punti di approdo, senza strutture sociali e senza progetti di integrazione neanche per chi ci abita da una vita.
Ma a rovesciare macchine, ad incendiare cassonetti, a scrivere sui cartelli “italiani bastardi” c’è chi questo territorio l’ha eletto per necessità sua patria (un paradosso che questo posto si chiami proprio “Lago Patria”).

Gli italiani, bastardi innanzitutto con se stessi. Penso.
Ed allora ecco una rivoluzione che non parte da chi per motivi di passaporto di questa terra si sente padrone, ma da chi viene da lontano eppure ne subisce il prezzo più alto.
Quelli che gridano oggi i loro morti danno voce a tutti quelli che invece restano in silenzio e subiscono il ricatto quotidiano del compromesso, il vivere in una terra senza alternative, che muoiono lentamente a causa delle discariche di rifiuti tossici (nei laghetti artificiali adiacenti la costa a meno di cinquecento metri sono affondati barili di rifiuti tossici; poco più in là l’interland giuglianese massacrato dalle discariche abusive). Terra senza alternative sociali. Un territorio per questo preda della criminalità organizzata.
Un territorio ed in un paese dove il sociale diviene sempre più un optional. Un paese dove manca lo spirito del cambiamento. Dove quelli che chiamiamo “altri” oggi fanno una rivoluzione, non noi.

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