Il business dell’oro bianco
La coca arriva via mare. Dal Sud – America viene scaricata nei porti di Dakar, Abidjan, Lomè, Cotonou, Tema e Takoradì, Port Harcourt. Senegal, Costa D’Avorio, Togo, Benin, Ghana, Nigeria, sono alcuni dei paesi dell’Africa Occidentale diventati negli ultimi cinque anni la porta del traffico internazionale di cocaina dalle Americhe al Vecchio Continente. La stessa via, fatta in senso inverso, che fino al XIX secolo è stata solcata dai trafficanti di uomini che saccheggiavano l’Africa per rimpolpare di schiavi le piantagioni americane. Tuttavia, non diversamente che nel passato, i nuovi traffici ed i nuovi trafficanti, rischiano di mettere a repentaglio ogni pur minima speranza di sviluppo e riscatto delle popolazioni dell’Africa Occidentale.
L’intensificarsi delle misure preventive nelle rotte tradizionali, la crescente domanda di cocaina da parte dei paesi europei, la presenza di governi deboli e corrotti, hanno reso la regione una piattaforma ideale per il transito del traffico di coca diretto verso l’Europa. L’allarme è stato lanciato con forza dall’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) che ha definito la regione un hub del traffico internazionale di cocaina, e dove ha recentemente aperto un ufficio regionale con il compito di monitorare la situazione. A detta di Antonio Mazzitelli, responsabile dell’ufficio regionale dell’UNODC in Guinea-Bissau, l’Africa Occidentale è diventata una sorta di grande buco nero dove chiunque può operare, nascondersi, siano essi trafficanti o terroristi. L’intera regione è coinvolta, anche se è proprio la Guinea-Bissau ad esser diventata la base logistica principale dei narcos.
Perché proprio la Guinea-Bissau, il più piccolo paese del continente africano? Semplicemente perché si tratta di uno tra i sei stati più poveri del mondo, con un governo ed un apparato statale profondamente corrotti, incapace di controllare i suoi stessi confini. La Giunea-Bissau ha una costa di 350 km frastagliata da 82 isole, e controllata da una unica nave. I confini interni sono del tutto porosi, e sono presenti in tutto il territorio piste aeree di atterraggio, un tempo utilizzate dalle fazioni in lotta nella guerra civile, ed oggi requisite dai narcos sudamericani, trasferitisi armi e bagagli nel nuovo paradiso del traffico internazionale. L’apparato giudiziario e la polizia in Giunea-Bissau non si trovano in situazioni migliori: basti pensare che esiste un solo carcere in tutto il territorio nazionale, per lo più senza porte e finestre, e che la polizia non ha la benzina per mandare in giro le pattuglie. Come se ciò non bastasse, il paese è retto da un governo corrotto che si dimostra fortemente “sensibile” al fiume di denaro che i trafficanti riversano in Guinea. La stessa sensibilità è dimostrata da buona parte dei magistrati, dei poliziotti e della popolazione, in una realtà in cui il flusso di denaro spostato quotidianamente dai trafficanti è spesso superiore al prodotto interno lordo.
Povertà, corruzione, confini porosi: il set ideale dove far arrivare la coca sudamericana da smistare verso la ricca Europa. Il rischio, denuncia Antonio Maria Costa, direttore dell’UNODC, è che il paese stia progressivamente perdendo il controllo del proprio territorio, non avendo mezzi e strumenti per esercitare la giustizia, e trovandosi sotto assedio da parte di una criminalità transnazionale economicamente più ricca, militarmente più equipaggiata, e che non ha la minima intenzione di perdere il controllo di questo avamposto a due passi dai mercati europei.
Un altro rischio è che i narcos riescano ad infiltrarsi anche negli altri paesi dell’Africa Occidentale, riproponendo il vincente “modello Guinea-Bissau”: la trasformazione dello stato in un “narco-stato”. Un modello in cui gli attori principali (trafficanti internazionali, governi, forze di polizia, opposizioni, e spesso gruppi terroristi e criminalità locali) interagiscono con complicità nel grande business dell’oro bianco.
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