Don Pino Puglisi e la “Brancaccio possibile”
Ucciso per aver invaso, con la fede e l’ impegno, un territorio nemico, in una regione, ufficialmente, in pace. Questa è la storia di Don Pino Puglisi, il prete che a Brancaccio tutti ricordano ancora con il soprannome di 3P, il sacerdote che aveva “rubato” i giovani a Cosa nostra, li aveva tolti da quei vicoli confine indecifrabile fra una storia di vita e una di morte. Quindici anni dopo, Palermo ha ricordato con cortei e iniziative che si concludo oggi con una solenne messa nella cattedrale della città, il missionario che, per conto di Dio, aveva messo le sue “grandi” orecchie al servizio dei ragazzi di Brancaccio e degli ultimi, nella quotidiana lotta contro i boss a Brancaccio, quartiere alle porte di Palermo, dove la mafia comandava e reclutava soprattutto i giovani, rubandogli il futuro e molto spesso la vita.
Ad interrompere la missione di Don Pino, proprio nel giorno del suo 56esimo compleanno, un commando di fuoco (mandanti i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, finiti in manette nel gennaio del 1994) che eseguì, il 15 settembre del 1993 la sentenza emessa da Cosa nostra proprio in quella Brancaccio dove lo Stato arrivava lentamente e di rado. Troppo di rado.
“Lui l’ aveva innanzitutto vissuta, come territorio, come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita – disse Don Ciotti nel primo anniversario della sua morte – per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada – quella strada che Gesù ha fatto sua – come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L’ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele”.
Un prete capace di vedere la Brancaccio possibile e creare le basi per quel cambiamento che oggi a Palermo – come ha dichiarato solo alcune settimane fa Pina Maisano Grassi – è realtà. A distanza di 15 anni dalla morte di Don Pino Puglisi Brancaccio sembra sospesa verso questo cambiamento possibile e di quel parroco “speciale” – dichiara Umberto di Maggio, cresciuto a Brancaccio e oggi responsabile di Libera a Palermo – “è’ rimasto il grande esempio di umiltà e determinazione. E’ rimasta la voglia di cambiare che ha “aperto le menti” di quanti, a Brancaccio, credevano che gattopardescamente tutto doveva rimanere identico, perennemente immutabile. E’ rimasta la sua ferma e decisa volontà a creare attraverso la giustizia sociale le giuste condizioni di libertà sociale per tutti. E’ rimasta quella sfrontata testardaggine da “Parrinu” che ha alzato la testa contro i poteri mafiosi e che ha indicato ai giovani del quartiere la via per l’emancipazione e la libertà dalla mafia”.
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