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Beni confiscati. Ai giovani la discoteca dei boss

Nando Dalla Chiesa* il . Dai territori, Puglia

Ballavano coi lupi, i giovani rampolli della Bari bene. La discoteca in cui si davano convegno, la Momart di Adelfia, era decisamente border line. Ci si commerciava in droga. Anzi, secondo gli investigatori proprio da lì, dai traffici di droga, era nata. Riciclaggio di denaro sporco, insomma. Quello del clan dei Palermiti, ultima generazione.

Il patriarca, razza ruspante, era conosciuto in Puglia per sfidare i pitbull in recinti da combattimento. Da vero uomo, a mani rigorosamente nude. Domani la discoteca sarà consegnata con tanto di cerimonia ufficiale alla compagnia del teatro Kismet, da anni impegnato a Bari contro la mafia. Sarà insomma restituita ai giovani, forse non esattamente agli stessi giovani, a circa un anno dal sequestro operato dalla procura barese, mandando in pensione l’idea (un po’ interessata) che per convertire a uso sociale i beni confiscati alle mafie debbano per forza trascorrere tempi biblici. E’ una grande notizia. Ma non sono poche le novità che arrivano dall’universo della lotta alle cosche e dei beni confiscati. Domenica scorsa, ad esempio, sempre per restare in Puglia, è stata inaugurata una bottega dei sapori della legalità in provincia di Brindisi. Non in un comune qualsiasi. Ma a Mesagne. Per molti lettori questo sarà forse un nome sconosciuto. Invece Mesagne solo pochi anni fa era considerato il cuore pulsante della Sacra Corona Unita, roccaforte del clan dei Rogoli. Ci ero andato alla fine dello scorso decennio in viaggio di studio e osservazione nella mia veste di parlamentare. Perché di quel comune si parlava come dellafutura Corleone, della futura Casal di Principe; luogo di incontro, com’era,tra gli astri della nuova mafia pugliese e la malavita in arrivo dall’Albania. E si sciupavano i pronostici sulla scalata che la mafia pugliese avrebbe dato, da lì, ai vertici della criminalità nazionale. Non è andata così. E si è dimostrato che nulla è già scritto.

La Puglia ha reagito, si è sentita addosso un corpo estraneo e ha iniziato a scalciarlo. Si sono mossi – bene – i magistrati, nonostante sia piovuto anche addosso a loro l’effetto indulto (di nuovo complimenti al legislatore…). Gli investigatori e le forze dell’ordine hanno fatto il loro dovere e spesso lo hanno fatto anche gli amministratori locali. C’è stato perfino un coordinamento degli insegnanti contro la mafia, in provincia di Brindisi, guidato da un professore di filosofia, che ha fatto incontrare gli studenti della provincia con tutta la cultura antimafiosa nazionale, da Carlo Smuraglia a Gherardo Colombo a Pino Arlacchi. Un professore che oggi mostra con santa soddisfazione il libro in cui ha riunito quegli interventi; e che lamenta semmai che qualcuno nel tempo si sia sfilato, come quell’ex parlamentare locale che, richiesto di partecipare a un convegno e ormai dedito ad affari e consulenze, lo ha schernito chiedendogli “E tu ancora all’antimafia stai?”.

Sì, qualcuno ancora all’antimafia sta. E per fortuna. Perché sta succedendo qualcosa che l’opinione pubblica italiana merita di sapere, visto che non c’è sempre e solo il trionfo degli interessi criminali. Anzi. Domenica chi fosse stato a Mesagne avrebbe visto questa bella bottega, dove si venderanno i prodotti ottenuti dai beni confiscati (vino, taralli, pomodori e molto altro ancora). Avrebbe visto tutte le autorità insieme, regione, provincia e comune e prefettura e carabinieri, riunite intorno al parroco, che con visibile coinvolgimento benediceva quel luogo che solo pochi anni fa sarebbe sembrato sovversivo. E avrebbe visto un pezzo di popolo, di ogni ceto sociale e di ogni età, riempire in festa i locali come una volta si occupavano in festa le terre incolte. Avrebbe visto, perfino, i giovani giapponesi e americani venuti a lavorare qui, sulle terre confiscate, grazie ai campi internazionali organizzati da Legambiente. Guai a non capirlo. Siamo martellati dal pessimismo sia degli scettici di professione sia di alcuni protagonisti di punta della stessa lotta alla mafia, amareggiati dalle lentezze o accidie o complicità governative.

A nulla – si dice – servirebbero le manifestazioni, perché a volte ci vanno gli stessi amici dei mafiosi (e allora stiamo a casa). A nulla servirebbe
l’ergastolo (chiedere il parere agli interessati). A nulla le fiction televisive (benissimo, teniamoci il Padrino). A nulla nemmeno le catture dei latitanti perché vengono subito sostituiti da boss più giovani e moderni (ottimo, aboliamo le squadre Catturandi). E invece le vittorie ci sono. Anzi, spesso proprio lo squilibrio degli spazi ottenuti nell’informazione dal “bene” e dal “male” aiuta quest’ultimo a sentirsi il vento in poppa. Chi lavora sui beni confiscati lo sa con tale certezza che ormai non fa nemmeno più comunicati (denunce sì, ma non comunicati) quando subisce un piccolo o medio atto di vandalismo. Altre sono le cifre e le immagini che egli vuole che giungano all’opinione pubblica. Perché ognuna di esse è punto d’arrivo di fatiche, di sfide, di rischi, anche. Che passano talora attraverso momenti da epopea. Foto storiche. Come quello della prima semina che si tenne anni fa a Mesagne. Una grande manifestazione di impegno, un indimenticabile “ci siamo anche noi” che non lasciasse soli i ragazzi della cooperativa che s’erano assunti l’onere di coltivare i terreni.

Provate a immaginare bambini e ragazzini delle scuole, contadini di mestiere, insegnanti, amministratori e magistrati che vanno su e giù gettando i primi semi nelle zolle. E poi provate a immaginare centinaia di giovani che ogni anno vengono dal nord a dare una mano gratuitamente, specie nella fase del raccolto o della vendemmia. Non è un fenomeno solo pugliese, perché (quanto oro non luccica…) sono circa duemila, ad esempio, i giovani volontari che ogni anno si muovono dalla sola Toscana per andare ad aiutare i loro coetanei coraggiosi nelle cooperative siciliane. Così, anche così cresce l’antimafia, nel paese in cui spesso ci piace di vedere la mafia onnipotente e “più forte di prima”. Così, grazie a questo volontariato silenzioso, è stato possibile per la cooperativa di Mesagne annunciare, domenica scorsa, il “grande balzo” nella produzione di bottiglie di vino.

Dalle 13mila dello scorso anno, il primo, alle 70 o 80mila di quest’anno, metà rosato pugliese metà negroamaro. Bottiglie che entreranno in commercio come le altre, e che i consumatori italiani (almeno quelli sensibili ai nostri problemi civili quanto le studentesse giapponesi di domenica…) vorranno comprare. Perché anche così, da semplici cittadini, senza nulla rischiare, si può fare qualcosa contro la mafia. Per dare forza e senso allo slogan che campeggiava a Mesagne: “la mafia esiste, ma anche l’Italia”.

*Fonte: L’Unità

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