Lo Bello: “64 imprenditori collaborano con la Giustizia, questa è la vera svolta”
Quarantotto ore dopo la relazione del presidente di Confindustria Sicilia, Ivanhoe Lo Bello, nella regione è subito polemica sulle dichiarazioni fatte a Palermo dai vertici regionali dell’associazione degli industriali. Al centro i dati forniti in merito ai provvedimenti presi nei confronti di dieci imprenditori. Alla conferenza stampa di Palermo, Lo Bello aveva affermato: al termine di questo ultimo anno di lavoro, dopo l’ingresso delle nuove norme sulla legalità e trasparenza delle imprese all’interno del Codice Etico, dieci aderenti sono stati espulsi e trenta sono al momento sospesi per un totale di 51 imprenditori la cui posizione è al vaglio delle singole sedi di Confindustria; 64 imprenditori oggi collaborano con la Giustizia.
Dopo i provvedimenti in applicazione del codice etico anche il nuovo presidente nazionale della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha inviato il suo messaggio ai colleghi siciliani, complimentandosi per i risultati raggiunti in questo ultimo anno di attività, aggiungendo “il sistema confederale è al vostro fianco” ; ma alcune sedi di industriali sollevano dubbi. Soci di Confindustria Sicilia infatti – secondo quanto riporta l’agenzia Ansa – sono scettici sui dati e sostengono che i dieci imprenditori espulsi, non sarebbero stati sanzionati per non aver pagato il pizzo ma perché condannati in inchieste per mafia ad Agrigento e Caltanissetta, morosi col pagamento delle quote associative o per altri motivi incompatibili con il codice etico.
“Dietro le espulsioni e le trenta sospensioni avvenute nelle province di Agrigento e Caltanissetta ci sono un mix di fattori concomitanti – dichiara il presidente Lo Bello a Libera Informazione – all’interno delle quali c’è una componente legata al pizzo. I provvedimenti sono responsabilità delle singole sedi, che poi hanno comunicato i dati alla sede centrale, mi sembra quanto meno curioso che soci di altre sedi possano essere informati su provvedimenti presi in altre province. Dentro queste sanzioni ci sono imprese che sono state condannate per mafia, imprese nei confronti delle quali sono in corso indagini per mafia, e poi c’è anche una componente legata ad imprenditori che si rifiutano di collaborare con le forze dell’ordine”.
“Per noi ogni espulsione è stata una sconfitta, i numeri importanti invece – continua Lo Bello – sono quelli dei 64 che oggi collaborano con la Giustizia, quando erano circa due, sino a qualche mese fa; questa è la vera svolta”. Sempre da Catania una lettera giunta il 2 settembre scorso prende le distanze dalla gestione del presidente Lo Bello, accusato di parlare troppo di legalità e poco di sviluppo. Intanto il presidente degli industriali siciliani (da aprile anche a capo del Banco di Sicilia) fa sapere che, anche se la decisione spetterà solo ai soci, da parte sua c’è la disponibilità a continuare il mandato anche nei prossimi due anni (il presidente viene eletto con un mandato di 4 anni, rinnovabile ogni due).
A poche settimane da una possibile riconferma dunque, “bilancio di un anno”, diceva qualche giorno fa Lo Bello a Palermo; bilancio di un anno è anche questo: le scelte di rottura si pagano. Lo scorso settembre Confindustria Sicilia decideva di espellere tutti coloro avessero avuto rapporti con la criminalità organizzata, non denunciando il pizzo in particolare (oltre ai condannati per mafia dopo il secondo grado di giudizio – come prevede il codice etico nazionale di Confindustria) e in molti hanno aggiunto il loro plauso a questo impegno. Oggi al termine di un anno nel quale si è parlato di legalità non solo come “pre – condizione” per lo sviluppo ma come chiave di volta per riappropriarsi di quel libero mercato che in Sicilia manca (facendo perdere anche gli investimenti esteri) arriva l’alzata di scudi a causa di comunicazioni interrotte fra il versante occidentale e quello orientale dell’isola, imprenditori divisi e politiche contrapposte.
Dentro Confindustria Catania, ad esempio, è in corso persino un provvedimento nei confronti dell’imprenditore Andrea Vecchio, vittima del racket, il quale aveva già rivelato come “tra l’Ance Catania, estremamente coesa e Confindustria Catania ci siano momenti di frizione, strategie non condivise”. Per lui è stata avviata un’ indagine interna chiusa, al momento, nel massimo riserbo, nonostante gli attentati alla sua industria continuino e siano sotto gli occhi di tutti, imprenditori catanesi compresi.
Nonostante le polemiche insolite di questi giorni – come sottolineano i commenti giunti anche dal versante antimafia in queste ore – c’è un tempo per ogni cosa e in Sicilia questo è senza dubbio il tempo del “fare” con trasparenza ed efficacia continuando nella direzione intrapresa da Confindustria Sicilia.
Trackback dal tuo sito.