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Caso Reggio, presto i fondi
“Ora tocca ai comuni in ritardo”

Di al.ma. il . Calabria

Ritardi, omissioni, ostacoli burocratici per bloccare l’assegnazione dei beni confiscati alle cosche. Sarebbero 370 gli amministratori indagati (in ogni caso sotto la lente delle forze dell’ordine), tutti della provincia di Reggio Calabria. A dare la notizia nei giorni scorsi sono stati il quotidiano regionale CalabriaOra e la Stampa, poi ripresi dall’Unità.

Semplice negligenza, incapacità o addirittura malafede, per fare il gioco delle mafie. Ma anche quelle disfunzioni strutturali che impediscono ai Comuni (troppo spesso con le casse vuote) di gestire al meglio la cosa pubblica. E i palazzi presi alle cosche restano colpevolmente inutilizzati. Ma dalla Regione una notizia positiva: coi fondi del Por sarà possibile recuperare il tempo perduto.

Per il momento, la stampa (soprattutto locale) non fa sconti e distinguo, e pesca nel torbido della zona grigia politica-‘ndrangheta, disegnata dai carabinieri del Ros in una dettagliata informativa. Ma per farlo spara nel mucchio: la campagna ha scatenato le reazioni dei sindaci e delle giunte chiamate in causa. Con tanto di querele: ad annunciarle è Demetrio Naccari, assessore regionale del Pd ed ex vicesindaco della Reggio di Falcomatà.

L’indagine ha avuto inizio nel 2006, in parallelo alle inchieste sulla cosca Condello (il clan del Supremo Pasquale Condello, latitante storico catturato nei mesi scorsi). L’indizio è evidente: la famiglia del capobastone abita ancora nel palazzo confiscato nel ’97 e ormai di proprietà del comune. Un fatto eclatante, ma non unico né isolato a Reggio Calabria. Il via agli accertamenti porta in breve ad un dato sconfortante: tutti i comuni della provincia (tranne tre, tra cui l’amministrazione di Platì affidata al commissario dopo lo scioglimento per mafia) sono in ritardo nell’assegnazione dei beni sottratti alle famiglie di ‘ndrangheta. Gli uomini del Ros hanno scavato a fondo: nell’informativa c’è una scheda per ognuno dei 370 coinvolti, con tanto di eventuali precedenti penali, iscrizioni a logge massoniche e frequentazioni con esponenti delle cosche.

Non solo sindaci e amministratori (in pratica tutte le giunte comunali delle ultime re o quattro legislature), anche un ex ufficiale della guardia di finanza e un magistrato sarebbero coinvolti nell’inchiesta. Per le persone indagate l’ipotesi di reato è omissione d’atti d’ufficio con l’aggravante di aver portato dei benefici alle organizzazioni mafiose.

Un’indagine controversa: parecchi dei coinvolti (circolano varie liste dei 370) sostengono di non aver ricevuto avvisi di garanzia. Il che ha due spiegazioni: non sono indagati oppure l’indagine è ancora in corso (in questo caso la divulgazione dell’informativa dei carabinieri risulterebbe inspiegabile). Il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, ha smentito la notizia. Ma i quotidiani che l’hanno data confermano, e sostengono che l’indagine si è chiusa di recente.

Altro punto da non sottovalutare: sullo stesso piano politici in odore di ‘ndrangheta e sindaci coraggiosi e al di sopra di ogni sospetto come Italo Falcomatà e Peppino Lavorato, chiamati in causa con le giunte che anno guidato nel decennio passato. Entrambi sotto il tiro delle cosche. Il sindaco della rinascita reggina è stato tra l’altro vittima di attentati incendiari (attribuiti proprio dall’inchiesta del 2006 alla cosca Condello). Mentre Lavorato è un simbolo dell’antimafia calabrese, avvertito più volte a colpi di Kalashnikov dalle cosche di Rosarno.

In generale, c’è del marcio un po’ ovunque. Ma ostacoli, cavilli e soprattutto il dissesto economico hanno impedito alle amministrazioni oneste di sveltire le pratiche. Perché quei palazzi vanno ristrutturati. E i soldi non ci sono e non arrivano. Responsabilità diffuse, dunque. Una tesi che ha sposato il governatore calabrese Agazio Loiero: da tempo si collabora con la prefettura e il demanio, ma le risorse scarseggiano.   Ma Loiero annuncia un futuro roseo: una parte dei fondi europei destinati alla Calabria saranno utilizzati per il recupero dei beni confiscati. Tocca ai comuni la redazione dei progetti e l’assegnazione alle realtà del sociale. Il quadro è chiaro, altri ritardi non sono ammessi.

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