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Di redazione il . Rassegne

“Caro negoziante ti faccio sapere che entro fine mese ci vuole 30mila euro se vuoi che la tua attività vada avanti e se non vuoi che il tuo negozio faccia una botta”. Così recita uno dei pizzini del clan Tamburella, di Messina. Sono avvertimenti battuti a macchina, sgrammaticati (dai 20mila euro ai 50mila) fatti pervenire dagli uomini del clan a commercianti e imprenditori della città dello stretto. (Gazzetta del Sud, 27 luglio 2008). Il Gruppo smantellato lo scorso febbraio dall’operazione della Dda di Messina deve rispondere di estorsione, usura, associazione a delinquere, traffico di sostanze stupefacenti. Il sostituto procuratore Fabio D’Anna ha chiesto il rinvio a giudizio per 27 indagati, un numero più alto dei diciotto già oggetto del provvedimento di custodia cautelare. Nella stessa settimana è stata emessa la prima sentenza contro il gotha criminale della provincia messinese che da anni ha gestito racket e controllo del territorio nei comuni fra Mistretta, Barcellona pozzo di Gotto e Tortorici (Gazzetta del Sud, 29 luglio 2008).

Eppure in provincia si fa fatica a prendere atto della reale situazione in cui versa la città dello Stretto e gli oltre cento comuni che la compongono. Le armi non sparano più come negli anni ’90 ma il fenomeno è ormai dentro il tessuto sociale e istituzionale. Armi che invece hanno ripreso a sparare con continuità e decisione in Calabria, regione ancora martoriata da omicidi interni al clan Piromalli – Molè. Questa settimana, a poche ore dalla convalida dei fermi che hanno portato all’arresto di una decina di persone facenti parte delle consorterie mafiose dei Molè e dei Piromalli di Gioia Tauro, un killer a bordo di una moto ha sparato a David Cambrea, 38 anni, già noto alle forze dell’ordine, sorvegliato speciale, ritenuto il braccio destro di Domenico Stanganelli, nipote del boss Rocco Molè, ucciso lo scorso febbraio a Gioia Tauro. (Quotidiano di Calabria, 2627 luglio 2008, Gazzetta del Sud 28 luglio 2008, Gazzetta del Sud 30 luglio). ). Molti gli affari che hanno intensificato la faida delle cosche della Piana: il porto, in particolare. I nuovi progetti commerciali destinati a quell’area, gli appalti per la realizzazione di opere pubbliche (Quotidiano di Calabria, 27 luglio 2008). E filtrano inoltre sulla stampa le conversazioni fra il boss dei Piromalli e il faccendiere calabro – venezuelano, Aldo Miccichè, che in breve spiega al boss quali sono le strade da percorrere per moderare, svuotare, revocare laddove possibile, il temuto 41 bis. Dalle intercettazioni si legge “Ho l’impressione però che non si riesce a manovrare bene, qua dovremo fare un altro tipo di rapporto e lo devo fare in Lombardia. Devo cercare di farlo tramite la massoneria… ora vedo. Lascia fare a me”. Di convergenze e reciproci favori, in tal caso di adesione, fra interessi mafiosi e massoni, si parla da troppo, molto tempo. In Calabria, nel cosentino in particolare, pare che le due si muovano in perfetta sinergia.

(Quotidiano di Calabria, 29 luglio 2008)

Per una fetta di Calabria che vive sotto il controllo soffocante delle mafie ce n’è un’altra, non meno “attrezzata”, che ha scelto di stare dall’altra parte. A Gioiosa Jonica l’associazione daSud e Libera , con il contributo della Regione Calabria e di numerosi enti locali, hanno dato vita ad una “Lunga Marcia della memoria”, partita da Reggio Calabria e culminata proprio a Gioiosa. Dibattiti, incontri, testimonianze, memoria (molti i familiari di vittime di mafie presenti) per ricordare e fare. Proprio nella città un murales che ricorda le storie di “ordinaria resistenza” , dipinto trent’anni fa, è stato restaurato e restituito ai colori originali, quelli che ricordano il riscatto dall’oppressione criminale del “Quarto stato”. (Quotidiano di Calabria, 28 luglio 2008).

Passi importanti che anche in questa regione restituiscono memoria e impegno come è già accaduto da alcuni anni in Sicilia, dove però talvolta accadono fatti inspiegabili. Il primo, da qualche settimana, ha riempito le pagine dei giornali e provocato la reazione dei familiari di vittime di mafie: la revoca del 41 bis, il regime di carcere duro, per 30 mafiosi e in particolare boss di primo rango come Nino Madonia. E’ stato il ministro della Giustizia a Palermo per la commemorazione del giudice istruttore Rocco Chinnici, ucciso 25 anni fa, da un’autobomba insieme alla scorta e al portiere dello stabile in cui il magistrato viveva, a fare l’annuncio che tutti aspettavano da giorni. Pare che con una circolare il Ministro abbia disposto per Madonia il ripristino del 41 bis (Gazzetta del Sud, 30 luglio 2008). Dalle intercettazioni telefoniche, in questi ultimi anni, è emerso come i boss della mafia temano principalmente proprio il regime di carcere duro e la confisca dei beni (Il Mattino 27 luglio 2008). Questi due strumenti più di altri, sembrano quindi aver inciso nella fase repressiva e in quella “propositiva” nel quotidiano smantellamento dei mandamenti di Cosa nostra. Smantellamento tutt’altro che compiuto, poiché come dimostrano le recenti indagini della dda palermitana, dal pizzo all’usura al commercio di droga, le “famiglie” godono ancora di un ampio consenso e riescono a rinnovare gli affiliati, soprattutto nei quartieri più “difficili”, da Palermo a Catania, passando per Trapani (Avvenire 31 luglio 2008).

E in un panorama diverso ma altrettanto incandescente, nella stessa settimana, la camorra agisce fra la folla (questa volta siamo nel napoletano), davanti ad un bar nel corso di una lite, ferisce a morte lo zio di un boss, Salvatore Somma, personaggio affiliato al clan Ruocco. Spariti in fretta tutti i potenziali testimoni, nessuno ha visto nulla. Le indagini della polizia proseguono ma non ci sono grandi possibilità di infrangere il muro dell’omertà. E per un omicidio a carico di ignoti invece si rende involontariamente noto un altro camorrista, tradito dal “vizio” per lo shopping. Imprudente o eccessivamente sicuro del suo territorio Adriano Graziano, boss di Quindici (detto ‘o professore”) latitante da maggio, è stato sorpreso da una ventina di militari in borghese, che lo hanno arrestato in un outlet di Valmontone (Il Corriere della Sera 28 luglio 2008, Il Mattino 28 luglio 2008).

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