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Rocco Chinnici, 25 anni dopo

Di redazione il . Dai territori, Sicilia

“La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare”.

Queste le parole del consigliere istruttore Rocco Chinnici, magistrato ideatore del ‘pool’ antimafia assassinato 25 anni fa nella strage di via Pipitone Federico, all’età di cinquantotto anni, in un attentato che segno’ la svolta ‘terroristica’ di Cosa Nostra. Era la prima volta, infatti, che la mafia sferrava il suo attacco agli uomini delle istituzioni con tanta inaudita e sconvolgente violenza, capace di colpire indiscriminatamente.

“Oggi firmerò il provvedimento che applica (nuovamente, ndr) il 41 bis al boss Nino Madonia’ – ha dichiarato da Palermo – il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Proprio Madonia fece esplodere con un telecomando, nascosto in un furgoncino, l’autobomba che uccise a Palermo il giudice Rocco Chinnici, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile in cui Chinnici abitava, Stefano Li Sacchi. Alfano ha ricordato i due annullamenti, da parte della Cassazione, dell’applicazione del carcere duro a Madonia, boss esponente della “famiglia” del quartiere palermitano di San Lorenzo, condannato anche per l’omicidio del generale Dalla Chiesa

Rocco Chinnici era stato il successore di Cesare Terranova alla procura di Palermo, anche lui caduto sotto il fuoco della mafia nel 1979. Solo pochi anni dividono la morte dei due magistrati, entrambi in quegli anni si erano occupati dell’ascesa dei corleonesi alla cupola di Cosa nostra, del processo dei “162” e di molto altro. Di lui raccontava Paolo Borsellino: chi gli visse accanto in quell’ultimo tragico anno della sua esistenza sa con quale impegno ed abnegazione, giorno e notte, con orari impossibili, continuò a lavorare nell’istruzione di quel procedimento, allora detto “dei 162″, che costituì l’embrione iniziale del primo maxiprocesso alle cosche mafiose, oggi giunto alla sua seconda verifica dibattimentale. Gli era così chiara l’unitarietà e l’interdipendenza fra tutte le famiglie mafiose e palese la connessione fra tutti i loro principali delitti (concetti che oggi fanno parte del patrimonio comune di chiunque si occupi di criminalità mafiosa, sebbene talune poco convincenti decisioni della Cassazione li abbiano posti recentemente in dubbio) che a lui risalgono la paternità o almeno l’ispirazione dei primi provvedimenti di riunione delle istruttorie sui grandi delitti di mafia. Era convinto che solo con un grande sforzo, inteso ad affrontare unitariamente l’esame del fenomeno, cercando di cogliere tutte le interconnessioni fra i grandi delitti, fosse possibile fare su di essi chiarezza, individuandone le cause e gli autori”.

Ieri fra Palermo e Trapani lo hanno ricordano il presidente del Senato Renato Schifani, i vertici di Enti locali, Regione, magistratura, forze dell’ordine e associazioni economiche e sociali. Alle iniziative in memoria del giudice e della sua scorta hanno preso parte i figli del giudice, Caterina, Elvira e Giovanni, e Antonino Rametta, generale della Guardia di Finanza e presidente della Fondazione intitolata al magistrato. Sono intervenuti Caterina Chinnici, da poco procuratore presso il tribunale per i minorenni di Palermo; del ministro della Giustizia Angelino Alfano; Guido Lo Forte, presidente della sezione di Palermo dell’Anm. La commemorazione si è poi spostata a Partanna (Tp) dove il magistrato è stato  pretore per dodici anni, dal ’54 al ’66.

Oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato ai familiari un messaggio in cui ricorda Chinnici come uno “strenuo difensore delle istituzioni – e ha aggiunto – “grazie alle lucide intuizioni di Rocco Chinnici e al suo rigoroso impegno fu possibile cominciare a interpretare unitariamente i fatti di mafia, cogliendone quelle interconnessioni che, di li’ a poco, avrebbero permesso di individuare autori e cause di efferati delitti. Il ricordo della tensione morale e di quella strenua difesa delle istituzioni e dei cittadini dalla sopraffazione della delinquenza organizzata, che ha connotato l’impegno di Rocco Chinnici, resta indelebile nella memoria di tutti”.

“Chinnici – dichiara da Palermo l’onorevole Beppe Lumia – fu un illuminato anticipatore che fece fare all’azione di contrasto alla mafia un considerevole salto in avanti. Capì, infatti, che la lotta a Cosa nostra richiedeva strumenti nuovi rispetto a quelli in uso ai suoi tempi. Comprese pure che la lotta alle organizzazioni criminali richiedeva la formazione di un’adeguata coscienza civile a cominciare dalle giovani generazioni. Intuizioni che Cosa Nostra gli fece pagare con la vita”.

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