Duro colpo alle cosche del messinese
Cinque ergastoli, cinque volte la frase, “fine pena mai” per boss di primo piano del messinese come Carmelo e Rosario Bontempo, Antonino Carcione, Calogero Carmelo Mignacca e Vincenzino Mignacca. La tensione in Corte d’assise era alta quando il presidente della prima sezione, Caterina Mangano, ha letto il dispositivo della sentenza: 20 pagine che infliggono anche 19 anni di carcere a Giuseppe Gullotti e Salvatore Griglia, 17 anni a Cesare Bontempo Scavo, 14 anni e due mesi a Marcello Coletta e
Queste le pene più pesanti ma l’elenco continua sino ad incontrare anche la riduzione di pena per il pentito, Santo Lenzo, condannato a 16 anni. E’ anche grazie alla collaborazione di questo imbianchino, originario di Brolo, affiliato al clan tortoriciano dei fratelli Cesare e Vincenzo Bontempo Scavo, che le indagini Icaro e Romanza, due filoni del maxi processo Mare nostrum del ’94, hanno svelato i retroscena di omicidi e racket che per circa dieci anni hanno tenuto sotto scacco imprenditori, braccianti agricoli e commercianti della zona nebroidea.
Ha retto durante tutto il processo l’impianto accusatorio dei pm Fabio D’Anna e Giuseppe Verzera partito dalle indagini Icaro del novembre 2003 e Romanza dell’aprile del 2000. Durante quest’ultima operazione 28 persone furono arrestate e venne alla luce il cosiddetto patto scellerato stipulato fra le famiglie dell’hinterland di Barcellona pozzo di Gotto e quelle di Tortorici. In breve i due capi Giuseppe Gullotti, e Cesare Bontempo Scavo, avevano trovato in questa sorta di pax mafiosa incrociata il modo di gestire e spartirsi i proventi degli affari criminali della fascia tirrenica. Negli anni anche commettendo alcuni omicidi: quello di Calogero Maniaci Brasone, Maurizio Vincenzo Ioppolo e Giuseppe Guidara.
Nel 2002 Lenzo decise di pentirsi e svuotare il sacco, successive intercettazioni dei Ros hanno consentito agli inquirenti di individuare alleanze e mosse di vecchi e nuovi boss nel comprensorio Mistretta, Barcellona, Tortorici. Da qui nel novembre del 2003 partì il secondo filone di indagine,
Dentro questa sentenza è possibile inoltre sfogliare un’altra pagina di storia di Cosa nostra nella provincia di Messina. Personaggio centrale di questa operazione infatti, oltre al pentito Lenzo, è stato anche Sebastiano Rampulla, ritenuto il referente di Cosa nostra per l’intera provincia (che in questo procedimento ha scelto il rito abbreviato). Per sciogliere il bandolo della matassa messinese cruciali anche le deposizioni di altri due pentiti di primissimo piano del palermitano: Giovanni Brusca (al quale proprio da Barcellona pozzo di Gotto arrivò il telecomando per la strage di Capaci) e Nino Giuffrè, braccio destro di Bernardo Provenzano, ex capo mandamento di Caccamo.
Al processo si sono costituiti parte civile l’associazione antiracket (Fai), l’associazione commercianti e imprenditori brolese e il Comune di Brolo. Su quasi 50 vittime di attentati, omicidi estorsioni però solo due famiglie di familiari di vittime e un imprenditore (Giuseppe Vinci) si sono costituiti in giudizio. Non è un dato da trascurare soprattutto in una provincia dove è ancora lontano il percorso intrapreso a Palermo e a tratti nella vicina Catania. Questa sentenza segna il primo passo (parziale, poiché 17 imputati sono stati invece assolti) verso un verdetto che dopo la sentenza Mare nostrum, manda in carcere parte del gotha mafioso della provincia. E anche se i segnali dati da questa società civile sono ancora flebili, la macchina giudiziaria fa il suo corso. Ed è un passo che incoraggia, da queste parti.
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