Mafia e fede cristiana
Alla scoperta delle contraddizioni di una condotta
Chiesa, religione, Cosa Nostra
di Alessandra Dino
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Ci dovrebbe essere una logica e naturale incompatibilità tra la
condotta mafiosa e la fede cristiana, improntata sui valori
dell’amore, della carità e del perdono così come insegnati dal
Vangelo. Dovrebbe, ed invece non c’è. Mafiosi devoti che giurano
col sangue sopra le immagini sacre di Madonne e Santi, che non
mancano mai di allestire altari nei loro covi, che fanno di tutto per
ottenere il controllo delle feste patronali e dei santi protettori
del territorio, per poter essere là in prima fila a dimostrare la
loro devozione e ostentare la propria potenza individuale e
familiare, che, come Bernardo Provenzano, utilizzano passi della
Bibbia per costruirsi un personale linguaggio cifrato.
Quella che ci descrive Alessandra Dino nel suo ottimo libro, chiaro,
preciso e molto documentato, è una mafia che riproduce una ritualità
attinta direttamente da quella cattolica e che reclama un utilizzo
strumentale della religione per dichiarare la propria esclusività,
potenza e, in un certo senso, giustezza, come se si volesse
dimostrare di avere Dio dalla propria parte. Le iniziazioni sono una
riproduzione del battesimo, ma mentre con quest’ultimo si diventa
figli di Dio e si entra a far parte del suo gregge, con le prime si
diventa uomini d’onore, affiliati a Cosa Nostra, membri di quella
famiglia che richiede altrettanta devozione e rispetto, pena le
peggiori ritorsioni e vendette. Il rapporto con la religione è del
tutto particolaristico ed intimistico, si va ad uccidere e poi si
chiede perdono a ‘u Signuri, come se si fosse compiuto il più
veniale dei peccati o, peggio ancora, si dichiara di uccidere in
“nome di Dio”. In questa cultura così intrisa di sacralità e
rituali qual è il ruolo della Chiesa?
Un ruolo piuttosto ambiguo e talvolta incoerente. Se da una parte si
possono fare i nomi di quei sacerdoti che costantemente impegnano e
hanno impegnato la loro vita e la loro opera di evangelizzazione
nella lotta contro la mafia, dall’altra troviamo un più largo
numero di uomini di fede che operano in quell’aerea di contatto tra
Chiesa e mafia. Un’aerea ombrosa e molto contraddittoria, basata su
una concezione religiosa più vicina a quella intimistica e personale
tipica della mafia, dove l’obiettivo principale diventa la
conversione del mafioso, il suo rientro nel gregge di Dio come una
“pecorella smarrita”. Esemplare è in questo senso il rapporto
che questa parte della Chiesa ha nei confronti dei collaboratori di
giustizia, dai quali, piuttosto che una reale collaborazione e sforzi
per rimediare tangibilmente ai loro errori, si pretende una
conversione religiosa, un pentimento che corrisponda ad un
riavvicinamento ai valori cristiani ma non necessariamente ad una
ammissione e un pentimento davanti alla collettività. Ancora più
gravi sono i casi che vengono citati in cui gli uomini di Chiesa sono
direttamente collusi con la mafia, tanto da andare ad officiare il
matrimonio in clandestinità tra Salvatore Riina e Antonietta
Bagarella, o da candidarsi attraverso contatti trasversali a
confessori di Bernardo Provenzano, o da nascondere, approfittando
della loro tranquilla vita monastica, temibili latitanti come Leggio.
Quella descritta è una Chiesa dalle molte anime, forse proprie per
le caratteristiche particolari della Chiesa siciliana e dei suoi
rapporti col territorio. Sebbene molto si sia fatto attraverso le
prese di posizione di uomini coraggiosi ed intenzionati a chiarire
questa incompatibilità tra Vangelo e mafia, quali Pappalardo, De
Giorgi, Cataldo Naro, Giuseppe Pennisi, Pino Puglisi, ammettendo il
peccato di mafia e richiedendo per questo la scomunica, o l’invito
deciso di Giovanni Paolo II alla conversione dei mafiosi all’indomani
delle stragi di Capaci e via D’Amelio, molto rimane ancora da fare,
proprio in quella zona grigia. Come scrive la stessa Dino, “la
Chiesa che emerge è un’istituzione dalle diverse culture e dalle
molte anime, incapace di esprimere unitariamente uno stacco netto dal
passato, in cui alcune sue componenti non esitano a porsi in aperta
contrapposizione con le istituzioni dello Stato e con le regole che
queste sono chiamate a garantire, rivendicando uno spazio autonomo,
sciolto da ogni obbligo di legge, svincolato, privilegiato.”
La Chiesa è quindi chiamata ad un compito di grande responsabilità,
ad una pastorale di resistenza contro la mafia che richiede di essere
liberi da accordi con i principi, di rifiutare privilegi e
favori, regalie ed elargizioni di pubblico denaro. Ed inoltre è
chiamata a non vedere, in questo caso, nello Stato il nemico comune
al quale contrapporsi, rivendicando un’autonomia che talvolta si
pone in aperta critica nei confronti delle istituzioni.
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