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Trapani, quell’area grigia dentro le imprese

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone avevano maturato l’idea, in tempi lontani dalle stragi dove sono stati uccisi, nel 1992, di creare un pool antimafia a Trapani, quando ovviamente ancora non esistevano le Procure distrettuali e la direzionale nazionale antimafia. Sostenevano, e lo testimoniano i cronisti dell’epoca, se Palermo è la capitale della mafia, Trapani è la capitale del settore finanziario, dove il controllo del territorio da parte di Cosa Nostra è pressocché totale, dove il rapporto con le istituzioni e con la massoneria è conclamato, quasi tradizionale. Analisi che va bene anche per i tempi odierni. Cosa Nostra è riuscita dapprima a coordinare il lavoro delle imprese, poi con i suoi uomini essa stessa è diventata impresa, oggi mantiene una forte vocazione imprenditoriale, ereditata da quella borghese e latifondista. La mafia da queste parti, nel trapanese, ottiene quello che vuole senza sparare, fa affari con gli appalti e si siede nei salotti che contano, ha avuto la capacità di diventare Stato, società e mercato, confondendo legalità e illegalità. E’ infiltrata nell’informazione e diffonde la sua informazione.

«La mafia – dice un investigatore – ti compra, ti scredita o ti fa trasferire». Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso quando ha parlato di Trapani ne ha parlato riconoscendo l’esistenza di una certa «voglia di mafia».

E così ci sono voluti decenni per vedere, ora, la nascita di una associazione antiracket. L’ha voluta per prima Confindustria che si è allineata alle posizioni del suo presidente regionale Ivanhoe Lo Bello, ma per carità, chiedono gli imprenditori trapanesi, del passato non ne dobbiamo parlare. Eppure c’è un passato che pesa e che produce ancora effetti. Uno dei più grossi imprenditori edili del comprensorio, Andrea Bulgarella, intervistato tempo addietro dalla giornalista Maria Grazia Mazzola per Report (Rai) alla domanda se sentisse il peso della mafia sul suo lavoro, rispose in questa maniera: «Queste cose, il peso della mafia.. lei non mi può fare questa domanda perché è una cosa lunga, una cosa che possiamo perdere giornate. Ma io non l’ho mai sentito il peso della mafia». Oggi l’associazione antiracket conta pochi aderenti, in assoluto non vi hanno aderito e continuano a tenersi a distanza gli imprenditori edili. Ma la partita è iniziata «e anche se a qualcuno dà fastidio qui continueremo a parlare contro la mafia e contro le collusioni» conferma il presidente regionale Lo Bello.


Il sostituto procuratore Andrea Tarondo spiega così come nel trapanese ci sia una generale intimidazione dell’imprenditoria trapanese: «Una imprenditoria che è restia a sottrarsi al controllo mafioso, perché l’attività estorsiva è una delle componenti di un rapporto più ampio, Cosa Nostra favorisce gli imprenditori che acconsentono alle richieste secondo quella strategia che evita il più possibile l’atto eclatante, e così il soggetto sottoposto a estorsione è un soggetto addomesticato, avvicinato, consapevole di quelli sono i suoi doveri per la “messa a posto”, un imprenditore che ha coscienza del fatto che c’è una mafia in grado di gestire l’aggiudicazione degli appalti». Qui non si paga il pizzo, «ma la quota associativa a Cosa Nostra». La nascita dell’antiracket però ha portato a grosse novità. Il confronto tra chi fa impresa e chi investiga non è più «segreto», avviene alla luce del sole, come è successo un paio di settimane addietro ad un convegno cui hanno preso parte Confindustria e il capo della Mobile, Lo Bello e il vice questore Linares seduti allo stesso tavolo.

«C’è importante interazione» ha riconosciuto in quella occasione il vice questore Linares, «con Confindustria c’è il comune riconoscimento che esiste un’area grigia da sconfiggere dentro l’impresa, lo Stato assicura che la buonafede degli imprenditori verrà presa in considerazione. Credo che sia il momento che gli imprenditori escano da quest’area grigia, se ne dissocino». «Noi ci siamo stati e ci saremo – ha assicurato Gualtieri – dagli imprenditori vogliamo i fatti, se non ci sono i risarcimenti contro racket e usura è perché non ci sono le denunce, ma è pure vero che abbiamo nel tempo colto la disponibilità di alcuni imprenditori a colloquiare di più e meglio con lo sportello investigativo che esiste alla squadra Mobile. Allora vogliamo credere che questo “ravvedimento operoso” da parte vostra davvero funzioni, ma anche senza questo noi andremo avanti perchè è anche la parte sana dell’imprenditoria che ce lo chiede».


Mafia e criminalità, Cosa Nostra e sicurezza delle città.

«Dobbiamo riuscire ad affermare un principio – risponde il questore Giuseppe Gualtieri – sicurezza è un concetto globale, la lotta alla mafia è la primaria battaglia che dobbiamo vincere perchè dietro la mafia si nascondono tutta una serie di piccole illegalità e disagi sociali, che sfociano anche nella piccola criminalità, nel vandalismo, nel teppismo. Per cui bisogna iniziare dalla “causa” (mafia) e non dall’ “effetto (criminalità quotidiana)». Ed è questo che realizza una certa peculiarietà in questo territorio.

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