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Mafia e intercettazioni, cronisti nell’angolo
Spampinato: censura alla sudamericana

Di Francesco Galante il . Dai territori, Sicilia

“Per una curiosa coincidenza un convegno dal siffatto titolo si apre proprio oggi. Eppure non avevamo concordato le agende con i lavori del Parlamento”: è la considerazione iniziale di Gianni Puglisi, presidente della Fondazione Banco di Sicilia che ospitava oggi a Palermo il convegno “Mafia, intercettazioni, cronisti sotto scorta”. Introduce Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi “Pio La Torre”, che traccia il panorama di una giustizia che vede ridurre gli investimenti in su favore e assiste all’approvazione del Lodo Alfano, con cui “ si tende a gerarchizzare i cittadini di fronte alla legge, ponendone alcuni in posizione di intoccabili. Andando al tema, il ruolo dell’informazione definita antimafiosa, si vede come ogni volta che approfondiscono i rapporti mafia politica, i giornalisti che se ne occupano vengono isolati. Alcuni sono in ascolto: c’è Lirio Abbate, ci sono storici redattori dell’Ora e i giovani della scuola di giornalismo. Ancora Puglisi osserva come “la stampa è a un tempo perseguita nel momento in cui rivela i contenuti di interecettazioni e sotto scorta quando tocca argomenti rischiosi”. “In un contesto del genere non mi sembra la tutela delle massime cariche dello Stato dai processi la priorità di questo Paese. Le notizie che vengono dal Parlamento interessano poco chi le ascolta e molto chi le emana”.

Per Alberto Spampinato fu lo spirito di Rocco Chinnici a reinventare la lotta alla mafia, gettando le basi per una collaborazione e competenza che cresceva negli anni culminando nell’introduzione del reato di associazione mafiosa. “Noi giornalisti ci confrontiamo con un livello oltre il quale non si può andare, con notizie che non si possono riprendere. Fuori d’Italia queste cose sono già percepite, se ne parla nei convegni come elementi di limitazione alla libertà di stampa e censura propri dei paesi sudamericani. Non si tratta di cose lontane da noi, in particolare dalla Sicilia che ha visto otto giornalisti uccisi. Parlarne è importante, potremmo, se cominciamo, prima o poi trovare la formula per il nostro 416bis”. Il giornalista che scopre una notizia scomoda deve scegliere se mettere sul piatto la propria sicurezza o imporsi l’auto censura. “Si tratta secondo me di una sorta di pizzo per i giornalisti, e dovremmo seguire il ragionamento di Confindustria Sicilia per sortire un analogo messaggio. Se faremo questo cominceremo a sostenere tutti i giornalisti, senza restringere il problema  a pochi coraggiosi. Sia un orientamento del genere il nostro 416bis, il retino per farfalle di chi scrive di mafia.

Angelo Agostini, direttore della rivista “Problemi dell’informazione”  sposta l’orizzonte del problema: “Se il sistema dei media non ha fatto della mafia un punto centrale dell’agenda è perché la mafia non è una priorità della politica italiana. I media hanno perso la capacità di proporre temi senza mandato della politica, perché troppo dipendenti da essa.

Per Franco Nicastro, presidente dell’Ordine dei giornalisti siciliani,un nuovo profilo della professione si è andato configurando attraverso il sistema di tutele del posto di lavoro del giornalista. Si sono ridotte le competenze professionali, le autonomie rispetto alle fonti di informazione, a favore di un ruolo di redattore piantato in redazione che, tagliando i costi e non solo, compiace l’editore. Accade per le condizioni di lavoro con cui si fanno i conti, e sono diverse le declinazioni da quelle di generazioni di giornalisti che scarpinavano: si sta in redazione a fare telefonate o peggio ad aspettare i comunicati, il reporter inseguito dalla notizia non è un mediatore, ma un confezionatore di prodotti. Quello che resta passa attraverso forme di autocensura. Anche la magistratura ci ha messo del suo, il cronista non scarpina per le aule cercando di “smozzicare” le notizie dalle confidenze degli avvocati. Semmai, viene invaso di comunicati, intercettazioni, memorie: che motivo ha di approfondire? Ogni tanto, dopo, la magistratura ravvisa errori di comunicazioni, ma certe notizie dovrebbero essere i custodi a custodirle.

Ascolta l’audio del dibattito sul portale del Centro Studi Pio La Torre

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