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Diecimila firme per Mauro

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

Diecimila firme. Tante ne sono state raccolte, da Trapani a Torino, in calce alla petizione che scattata lo scorso autunno aveva come obiettivo ottenere la riapertura delle indagini sulla uccisione di Mauro Rostagno che risale al 26 settembre 1988. Vent’anni addietro. L’intento dei promotori era, e resta, quello di portare la petizione al Capo dello Stato. Lo scopo iniziale quello che l’indagine non finisse in archivio come sembrava stava per accadere. C’era già la richiesta di archiviazione firmata dal pm della Dda di Palermo Antonio Ingroia e il gip, Maria Pino, stava per decidere. Le firme a Napolitano saranno portate ugualmente ma non c’è stato bisogno di questo passaggio perchè l’inchiesta nel frattempo andasse avanti: è cosa nota la circostanza che l’archiviazione a novembre scorso è stata respinta, che la Dda di Palermo ha avuto concessi altri sei mesi per indagare e che in questo spazio di tempo è stata la squadra Mobile di Trapani, diretta dal vice questore Giuseppe Linares, che mai prima si era occupata del delitto (tranne nei primi mesi e allora a guidare l’ufficio investigativo c’era Rino Germanà oggi questore a Forlì), a chiudere uno dei cerchi, quello attorno ad un elemento preciso, avendo trovato l’«impronta» di Cosa Nostra nell’omicidio. Un impronta che ha precisi nomi e cognomi. Come diceva Germanà nei primi giorni del delitto, ma poi l’indagine dei Carabinieri portò da altre parti.

Di questi giorni numerosi sono stati i reportage nazionali sulle indagini riguardanti il delitto. Qualcuno si è spinto anche oltre la realtà dei fatti ed ha parlato di inizio imminente di un processo in Corte di Assise. Allo stato, è lo stesso pm Antonio Ingroia a confermarlo, la Procura non ha chiesto alcuna archiviazione segno che sono al varo altri provvedimenti, prematuri comunque per parlare di dibattimento: «Il segreto investigativo non mi consente di rispondere – ha detto Ingroia intervistato da Saverio Lodato per l’Unità – ma confermo che secondo la Procura Rostagno fu ucciso dalla mafia».

È un processo già scritto sui giornali quello sull’omicidio Rostagno. E non da ora. La storia delle intromissioni della mafia nel tessuto imprenditoriale e politico dI Trapani non è nuova, e Rostagno-giornalista non dava garanzie in quel 1988 quando Cosa Nostra cominciava a cambiare pelle e a diventare impresa, senza volere tenere conto tutto il resto che ruota attorno al delitto, a cominciare da quel traffico di armi che Rostagno avrebbe scoperto sulla pista dell’aeroporto di Kinisia, per continuare con la massoneria e i suoi scandali (Iside 2).

Ma i processi non si fanno con gli articoli ma con gli atti giudiziari e sono quelli che in queste settimane si spera vengano scritti negli uffici della Procura antimafia di Palermo senza fare trascorrere altro tempo. Ci si augura che finalmente vengano usati i verbali dei pentiti, come Vincenzo Sinacori e Francesco Milazzo, che dell’omicidio hanno dichiarato di avere alcune fondate conoscenze, un delitto deciso tra Castelvetrano e Mazara, dopo un incontro tra Francesco Messina Denaro e Francesco Messina, il primo il capo delle famiglie del Belice, quello che ha passato il testiomone al figlio Matteo oggi il più ricercato tra i mafiosi, l’altro soprannominato u muraturi, in realtà il tesorire della cosca di Mazara, morto suicida diversi anni addietro. I due ordinarono il delitto al capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, l’omicidio venne eseguito dal gruppo di fuoco fidato del boss trapanese. Il pm Ingroia però aggiunge sempre ripondendo a Lodato: «La matrice mafiosa non esclude la possibile convergenza con gli interessi di altri ambienti vicini alla mafia a eliminare un giornalista scomodo come Rostagno. Un movente di mafia non esclude altri moventi?».

Le firme in calce alla petizione non restano inutili, possono essere portate al Presidente della Repubblica per dimostrare che a Trapani la lotta alla mafia non appartiene solo a magistrati e investigatori, ma c’è un pezzo di società che non vuole stare a guardare. E siccome le firme giungono anche da diverse parti d’Italia c’è una sensibilità ed una solidarietà nei confronti dei siciliani che è grandissima e va sfruttata ed esaltata. E allora quelle firme possono sollecitare altri interventi, per vedere allargato il numero (oggi limitato) dei magistrati antimafia incaricati delle inchieste su Trapani, a vedere agevolato il lavoro degli investigatori. E c’è il lavoro d’informazione che non è tutto in discesa. Lo testimonia il numero di gironalisti che lavorano oggi sotto scorta, ma non solo le storie di questi. Tutte buone ragioni per richiamare l’attenzione del presidente Napolitano.

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