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Casalesi, gli equilibri dopo la sentenza

Di Peppe Ruggiero il . Campania, Dai territori

Dopo la “Corte
condanna”, altro blitz contro i casalesi. Una guerra senza
esclusioni di colpi contro quello che attualmente viene considerato
tra i più potenti della criminalità organizzata. Un impero che può
contare su oltre tremila affiliati ed un giro d’affari stimato in
un miliardo di euro all’anno. Investimenti in Emilia Romagna,
Lombardia, Lazio,. E ancora in Romania, Scozia, Sud America,
Germania. Trentadue ordinanze di custodia cautelare in carcere nei
confronti di persone ritenute appartenenti al gruppo dei Bidognetti e
Tavoletta-Campiello, operanti nel triangolo Casal di Principe, Villa
Literno e Parete ed in contrapposizione tra loro. Dopo questo nuovo
colpo assestato ai casalesi, che segue la conferma dei sedici
ergastoli del Processo Spartacus, come cambieranno gli equilibri
all’interno del clan? Sicuramente si dovrà decidere la strategia
da mettere in atto per ribadire la supremazia sul territorio in
risposta alla controffensiva dello Stato.

Una strategia che potrebbe
essere in continuità con quella degli ultimi mesi: attentati,
agguati, omicidi, vendette nei confronti di chi parla. Una vera e
propria strategia della tensione. Al comando della holding, una
diarchia retta da Francesco Schiavone, detto Sandokan e Francesco
Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte. Il primo mantiene
saldamente il potere, anche se ha ceduto il posto nel consiglio
d’amministrazione al figlio Nicola, incensurato, poco presente
nell’attività militare del clan e più attivo nel mondo
imprenditoriale con interessi nel Nord Italia e nell’Europa
dell’Est. Diversa la posizione di Bidognetti. Alcuni tra i suoi
uomini di fiducia si sono pentiti. Si è pentita Anna Carrino, la sua
compagna, come il cugino Domenico e il suo referente imprenditoriale
nel settore rifiuti Gatetano Vassallo.

Bidognetti può contare, però,
sul gruppo di fuoco, composto secondo gli investigatori, da Peppe
Setola, Alessandro Cirillo , Emilio Di Caterino e i fratelli Vargas.
Tutti latitanti. Un gruppo che si è messo a disposizione dell’intero
clan nell’ultimo mese di sangue in terra di Gomorra. Con la
diarchia, comandano con ampia autonomia, dettata dalla loro
latitanza, Michele Zagaria e Antonio Iovine. Sono ai primi due posti
tra i più pericolosi boss ricercati secondo il Ministero degli
Interni. Latitanti dal 1995. Legati da un patto di sangue e di
amicizia. Sono la mente imprenditoriale del clan. Ognuno con il suo
ruolo. Zagaria fa girare i soldi nel Nord Italia, Iovine garantisce
coperture a Roma.

E all’interno dei clan, la loro posizione mese
dopo mese , si conferma sempre più forte, sempre più consolidata.
Possono contare su persone di fiducia con un beneficio: non travolte
dalle sentenza giudiziarie. Zagaria può fare affidamento sui
fratelli Pasquale, Antonio e Carmine. Consegnati in pochi mesi alla
magistratura. Devono scontare pene che vanno dai tre agli otto anni.
Nulla rispetto agli ergastoli. Uno status di garanzia per continuare
a gestire dall’esterno la dinastia dei Zagaria. L’uomo di fiducia
di Antonio, Iovine, è Corrado De Luca. Anche lui latitante.
Condannato ad otto anni, di cui la metà già scontati. Latitante è
anche sua moglie Enrichetta Avallone, consigliera ed ambasciatrice
personale di Iovine. In terra di Gomorra, l’arresto di Michele
Zagaria e Antonio Iovine, è l’obiettivo prioritario dello Stato.
La loro cattura, in questo momento di riassesto del clan, potrebbe
essere letale. La caccia continua.

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